Immigrazione / Memoria corta, ma per fortuna il popolo di Lampedusa ci salva la faccia con la sua umanità

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Immigrati in arrivo a Lampedusa, oggi

Una volta, eravamo noi il Sud del mondo. Chi ha avuto la ventura di visitare Ellis Island, a New York, lo può testimoniare, perché custodirà per sempre nella sua memoria l’immagine di quegli oggetti, di quelle fotografie, di quegli scritti, di quelle storie – ciascuna diversa – che sono lì conservati, dell’emigrazione di duecento anni fa. Era una struttura che copriva 10 ettari di superficie e comprendeva 35 edifici, inaugurata il primo gennaio 1892, sotto sorveglianza delle autorità federali, che da quel momento in poi gestirono l’intero problema dell’immigrazione. Come lo gestirono? Con 5mila visite mediche al giorno, con un picco di 15 milioni di persone accolte tra il 1890 e la prima guerra mondiale, moltissimi di loro poveri italiani del Sud, ma anche russi, europei e soprattutto irlandesi, che già nei decenni precedente si erano riversati in America.

Immigrati in arrivo a Ellis Island agli inizi del XX secolo
Immigrati in arrivo a Ellis Island agli inizi del XX secolo

L’esodo irlandese, in particolare, ricorda quello che sta avvenendo negli ultimi anni dalle coste africane verso l’Italia e l’Europa: tra il 1845 e il 1846, le navi provenienti dall’Irlanda erano così cariche e i passeggeri così debilitati, che moltissimi migranti morirono lungo il tragitto: degli 89.738 irlandesi diretti verso i porti canadesi, 5293 morirono lungo la via e altri 10.037 all’arrivo. Nel complesso, fuggirono dall’Irlanda verso gli Usa 780mila persone negli anni Quaranta, più di 900mila nel decennio successivo.

I  numeri di oggi fanno sorridere, a confronto. C’è chi si è scagliato contro l’operazione “Mare Nostrum”, perché in un anno avrebbe “garantito” l’entrata in Italia di 150mila persone, sottraendo molti di loro a morte sicura. Ne sono prova i 330 immigrati che nei giorni scorsi sono stati inghiottiti dal mare nelle acque antistanti Lampedusa, nel disinteresse mass-mediatico e culturale generale. Ci si vergogni di tanto cinismo, che ha concorso ad impedire che un’operazione umanitaria di quella portata proseguisse e ci si vergogni anche di tanta superficialità, che non ha considerato il primo dovere che ha un’entità politica che diventa Stato, come l’Italia o un’unione di Stati, come l’Europa: preservare il diritto alla vita delle persone, di qualsiasi persona. Se questo non avviene quell’entità politica si sbriciola, non ha più motivo di esistere. Non ha senso dire, ora, che bisognerebbe evitare che il “Mediterraneo diventi un cimitero di morti”: è uno dei tanti esempi di questa modernità, che ci propone di continuo un’ipocrisia che si taglia a fette.

Immigrati in arrivo a Lampedusa, oggi
Immigrati in arrivo a Lampedusa, oggi

La verità è che così come non c’è nessuna differenza tra le grandi compagnie commerciali europee e i regnanti degli Stati africani che nella prima metà dell’’800 gestirono in modo forzato e violento verso gli Stati Uniti l’emigrazione degli schiavi e le  organizzazioni criminali che oggi ingrandiscono i loro patrimoni con la tratta degli esseri umani, non c’è nessuna differenza tra coloro che due secoli fa lasciavano la loro terra d’origine per un’avventura d’oltre oceano e coloro che nel terzo millennio fuggono dalle guerre, dalle miseria, dalla fame in cui vivono nei Paesi dell’area mediterranea, sfruttati da quel colonialismo becero europeo e transnazionale che per 100 anni non è riuscito a dare nulla a quelle popolazioni. Quegli esseri umani non sono criminali. Sono per la maggior parte uomini disperati. Come lo erano gli italiani meridionali dei due secoli che abbiamo alla spalle, che furono accolti, foss’anche per interessi demografici o di altro tipo, da un Paese che, preservando la sua identità, riuscì ad integrarli.

La storia dell’umanità – quanto ci sarebbe bisogno di tornare a studiarla nelle nostre scuole – e in particolare quella del Sud del mondo, è una storia di migrazioni. L’ha compreso bene il popolo di Lampedusa, che da lungo tempo, con grande dignità e sacrificio, offre – lui sì – una mano a quei derelitti che riescono a raggiungere l’isola e piange coloro che a centinaia vengono lasciati morire.

Roberto Rea

(Fonte: AgenSir)

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