Incontri culturali / S. Filippo Neri e il missionario filippino Giuseppe Vaz protagonisti di un convegno ad Acicatena

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A sin. padre Dino Magnano e il dott. Pietro Valdameri

Ricorrendo quest’anno il quinto centenario della nascita di San Filippo Neri, la Congregazione dei Padri dell’Oratorio di Acicatena ha organizzato nella chiesa della ‘Divina Misericordia’ in San Nicolò, il ‘1°convegno “Amici dell’Oratorio”, con una conferenza in due momenti sui temi “La genialità di San Filippo Neri” e “Giuseppe Vaz, il clandestino di Dio” di cui sono stati rispettivamente relatori il prof. dott. Piero Valdameri, oggi novizio della Congregazione oratoriana di Torino, e padre Dino Magnano, Preposito della Congregazione di Acicatena.

A sin. padre Dino Magnano e il dott. Pietro Valdameri
A sin. padre Dino Magnano e il dott. Pietro Valdameri

Tra i due momenti culturali, un intermezzo musicale, curato dal m° Luca Di Donato e dai ragazzi dell’Oratorio musicale della parrocchia sannicolese. A conclusione della giornata, la solenne concelebrazione eucaristica dei Padri dell’Oratorio ed un’agape fraterna.

Il dott. Valdameri ha tratteggiato la personalità del Neri, il ‘Santo della Gioia’, colui, cioè, che non essendo un teorico e non avendo, di conseguenza, elaborato trattati su alcun argomento, fece della Gioia la caratteristica peculiare della propria intuizione pedagogica. Affermava il letterato inglese Chesterton che ‘la Gioia è il gigantesco segreto del Cristiano’; basata su una perpetua allegrezza di spirito, su pazienza, umiltà ed umorismo, essa era la ragione per cui il Neri non amava predicare da pulpiti, prediligendo, invece, un apostolato che lo vedeva porsi sullo stesso piano dei suoi ascoltatori.

Come si evince dai quattro volumi di testimonianze per il processo di canonizzazione, Filippo Neri, nutrendosi di fiducia nella natura umana, desiderava più di ogni altra cosa toccare il cuore della gente, con umiltà ed umorismo, termini che hanno la stessa radice (humus, cioè terra). Chi è dotato di umorismo percepisce attorno a sé un mondo che va al di là di se stesso.

Nel successivo intervento, il sac. Magnano ha riferito su padre Giuseppe Vaz, eminente figura di missionario filippino, di nazionalità indiana, canonizzato lo scorso febbraio da Papa Francesco. Nato nel 1651 e deceduto nel 1711, egli frequenta le scuole presso i Padri Gesuiti, ove attende anche agli studi teologici. Successivamente, chiedendo le Costituzioni alla Congregazione di Lisbona, fonda un oratorio filippino a Goa con l’obiettivo di prestare concretamente aiuto ai Cristiani che, pur perseguitati, desiderano poter manifestare la propria fede, in un momento in cui era vietato il proselitismo o la diffusione della fede cattolica. Era suo ardente desiderio diffondere il Vangelo nell’isola di Ceylon dove, a sud dell’India, egli potè sbarcare, dopo mille traversie ed una traversata durata ben otto giorni ed altrettante notti a causa del mare tempestoso, attuando uno stratagemma suggeritogli da un Padre Gesuita, cioè travestendosi da mendicante, essendo vietata la presenza di sacerdoti cattolici. Deciso a farsi povero tra i poveri, egli si ciba unicamente di pane ed acqua e non porta alcunché con sé nel suo viaggio, tranne una cassa contenente paramenti, arredi e suppellettili per la celebrazione eucaristica, che portava caricata sulle spalle, non accettando aiuto da alcuno e adducendo il pretesto che Cristo aveva portato sulle proprie spalle un peso ben più gravoso: quello del legno della Croce.

Nando Costarelli

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