Come tanti, ho appreso la chiusura del Monastero della Visitazione di Acireale, da uno stringato comunicato della diocesi tramite il gruppo – Avvisi Clero – di WhatsApp, il 25 ottobre.
La notizia della definitiva chiusura dell’unico Monastero di vita contemplativa delle Visitandine di Acireale, di via Paolo Vasta alta, cala in una città opaca e sonnolenta, affaccendata in questioni di secondaria importanza, di poco respiro e saranno veramente pochi quelli che vorranno appassionarsi alla storia del Monastero delle Visitandine, su quello che ha rappresentato per la vita del quartiere di Piazza Dante e per tutta la città.
Una riflessione sul monastero della Visitazione
Il nostro Vescovo, mons. Antonino Raspanti, don Roberto Strano, Nino Leotta, il parroco don Gabriele Patanè hanno già detto le parole della gratitudine e del cuore. Ma il fatto che il faro, che aveva illuminato la città di Acireale e non solo, si è spento definitivamente, merita ed esige una riflessione in più. E forse una assunzione di responsabilità da parte di tanti laici cristiani e soprattutto di noi uomini di Chiesa.
A volte ci si può anche paralizzare semplicemente nella contemplazione di ciò che poteva essere e non è stato. E accontentarsi di dire le parole giuste, senza farsi i conti con la storia.
La città di Acireale da tempo sta vivendo un processo involutivo, lasciandosi morire nell’accidia, accettando passivamente di vivere di rendita, senza mettere in campo né ragionevolezza, né profezia.
Non è fuori luogo segnalare qui, a questo punto, una questione che, sicuramente, piccola non è.
La nascita del monastero della Visitazione
Quando vennero istituite le Visitandine nella diocesi di Acireale era il 1925. Dopo la posa della prima pietra, seguì l’opera generosa della costruzione, via via, del monastero, in una parte della città che, allora, era semplicemente il luogo orrido, extra-moenia, una immensa pietraia dove al massimo fare i duelli o risolvere bestialmente le beghe tra gli uomini. Poi, come è capitato altrove, si decide di costruirvi attorno e il monastero non è più isolato. Il colle popolandosi sempre di più, diventerà un altro quartiere di Acireale.
Proprio lì si pensa di erigere una parrocchia, denominandola Parrocchia Santuario “Sacratissimo Cuore di Gesù”: era l’otto settembre del 1956. Dall’alto della sua posizione si porrà a protezione del quartiere e della stessa città il cuore del Redentore. Il cammino da fare viene indicato una volta per sempre: la città se vuole vivere e progredire deve avere un cuore grande, divino, come quello di Gesù.
Il monastero cede del proprio, si ritira, si contrae in sé per far posto alla neo-parrocchia.
Parrocchia e Monastero si adoperano a gettare il seme del Vangelo, a istruire i fanciulli, ad edificare, insomma, la Chiesa tra le case degli uomini e delle donne.
In quel sodalizio c’era un patto, una promessa: quella di costruire, quanto prima, una parrocchia vera e propria, con strutture e locali idonei alle nuove esigenze. E di permettere al Monastero di essere quello per cui era stato fondato.
La nuova parrocchia Cuore Immacolato di Maria fu eretta il primo settembre del 1979. Ma a quel punto, incredibilmente, le parrocchie diventano due, sino all’altro ieri.
La fine del monastero della Visitazione
Non so, però, se l’anno 1979 poteva diventare l’anno di un nuovo modo di essere chiesa nella città e di fare del Monastero un vero e grande centro di spiritualità dove fare respirare la Parola, il silenzio, la contemplazione, la ricerca dell’essenziale in un nuovo mondo in cambiamento e in cerca di risposte grandi alle domande dell’esistenza.
Così non è stato e sappiamo come è andata a finire!
Dopo ben 96 anni, l’esperienza delle Visitandine in Acireale è finita e il cuore di tanti di noi è afflitto e lacerato.
Novantasei anni non sono pochi, caspita! L’esperienza delle Monache si è protratta fino al 26 ottobre del 2021 e poi non ha più retto all’urto dei tempi.
Quale futuro per le parrocchie?
Qual è il segno per noi, per le nostre parrocchie oggi? Quale futuro possiamo prevedere per esse?
Avere alle spalle molti anni, oggi come oggi, non significa nulla. Se non porto dentro il seme del futuro e non mi adopero a prendermene cura, sarò spazzato ugualmente, a mia volta.
Una chiesa senza una presenza seria di credenti adulti che sperimentano l’avventura della fede cristiana nelle trame della vita di tutti i giorni, senza clamori ma con fermezza, nella memoria di quello che Gesù fece e disse è destinata a diventare “sale scipito”, semplice luogo dove si vive una religione civile. E prima o poi, continuando su questa via, chiuderanno anche le nostre parrocchie, almeno così come le abbiamo conosciute.
Se attenderemo ancora senza far nulla, sarà così!
La Chiesa non è né dei preti, né dei laici. La Chiesa è la comunità dei discepoli che scelgono di vivere realisticamente, ovvero profeticamente il Vangelo nell’oggi della storia, lì dove vive la gente. Ieri come oggi è l’ora dell’impegno con Cristo. “E’ finito il tempo”, diceva don Primo Mazzolari, “di fare lo spettatore, sotto il pretesto che si è onesti e cristiani! Troppi hanno ancora le mani pulite perché non hanno mai fatto niente. Un cristiano che non accetta il rischio di disperdersi per mantenersi fedele a un impegno di salvezza non è degno di impegnarsi con Cristo” (da “Impegno con Cristo”, 1943).
Là dove non ci si innamora perdutamente per una vita cristiana autentica, senza decidersi mai, lì prevarrà una vita di forme e non una forma di vita.
don Orazio Barbarino
Arciprete di Linguaglossa