Intervista a mons. Nunzio Galantino per la visita del Papa a Cassano all’Jonio: “Non una marcia trionfale, ma un papà che va a trovare i figli”

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Monsignor Nunzio Galantino, vescovo della diocesi calabrese e segretario generale della Cei, spiega la scelta della “sobrietà” che fa di questa visita un “modello”, un’indicazione di metodo, per le visite pastorali del Santo Padre in Italia. Non mancheranno l’incontro, il dialogo e la prossimità. E neppure un riferimento alla lotta alla criminalità organizzata che deturpa il volto di questa terra.

galantino_1“Non una marcia trionfale o trionfalistica, ma la visita di un papà che va a trovare i suoi figli, ed è per loro una guida e un maestro”. A qualche giorno dalla visita del Papa a Cassano all’Jonio, monsignor Nunzio Galantino, vescovo della diocesi e segretario generale della Cei, spiega così la scelta della “sobrietà” che fa della visita a una delle diocesi più piccole della Calabria un “modello”, e un’indicazione di metodo, per le visite pastorali del Santo Padre in Italia. Ripercorriamo con il vescovo le tappe del viaggio, che comincerà dal carcere di Castrovillari e culminerà nella Messa a Marina di Sibari, per la quale – ad oggi – si sono già registrate 80.291 prenotazioni, ma il numero è destinato a salire, visto che i “pass” gratuiti per i settori ad ingresso libero possono essere richiesti fino al giorno della visita, in programma il 21 giugno. Prima della celebrazione eucaristica, il Papa farà una breve sosta, ma significativa, davanti alla parrocchia di San Giuseppe, dove il 3 marzo è stato assassinato padre Lazzaro Longobardi.

– “Vengo per chiedere scusa”: il Papa lo fa per farsi perdonare dalla diocesi di avergli “rubato” il vescovo senza preavviso. E la diocesi? Quale chiesa Francesco si appresta ad incontrare?

“Una chiesa felice di accoglierlo come padre e come guida. Una chiesa che ha imparato a trasformare l’espressione di Papa Francesco, quando dice di fare un esame di coscienza per sé, in un invito anche per noi. Per questo abbiamo deciso insieme di esaminarci, di interrogarci sulla situazione, al di là della nostra impotenza e delle nostre difficoltà. Abbiamo voluto interrogarci seriamente, individuando quelle fasce di persone o quelle realtà a cui umilmente imparare a chiedere scusa. Durante il percorso della missione diocesana, alla quale hanno partecipato laici e sacerdoti, abbiamo identificato le fasce più bisognose accostandoci ad esse con spirito di umiltà, ma anche con grande senso di impegno e intraprendenza. Sono tante le categorie di persone alle quali, come diocesi, vogliamo chiedere scusa: ai poveri, se tante volte non abbiamo saputo ascoltare il loro grido e li abbiamo lasciati fuori dai nostri gruppi e comunità, abbandonandoli per strada. Ai bambini, se nonostante il nostro impegno teso ad essere vita buona del Vangelo qualche volta abbiamo abdicato per pigrizia, perché eravamo stanchi, all’impegno dell’educazione. Ai giovani, se tante volte abbiamo finito per lasciarli soli nelle loro speranze, senza aiutarli a farle diventare realtà, presi dalla nostra disperazione o da un sentimento negativo di fatalismo. Abbiamo voluto chiedere scusa – e questo ha suscitato polemiche in alcuni nostri ambienti integralisti – ai non credenti o agli indifferenti, non perché siamo credenti, ma per quelle volte in cui il nostro vivere l’esperienza religiosa non è stato all’altezza di offrire testimonianza di una Chiesa bella e credibile”.

–  Il Papa ha scelto di far visita a Cassano, una delle diocesi più piccole della Calabria: si può dire che sia un “modello”, o comunque un’indicazione di metodo, per le visite pastorali in Italia?

“Direi proprio di sì, ed è evidente anche dall’impostazione della visita, dai luoghi in cui si svolgerà e dal metodo innovativo con cui noi come chiesa abbiamo voluto prepararci: l’atteggiamento adottato è stato quello di fare una scelta di sobrietà. Non una marcia trionfale o trionfalistica, ma la visita di un papà che va a trovare i suoi figli, ed è per loro una guida e un maestro”.

– La visita del Papa inizia dal carcere, a pochi mesi dall’assassinio del piccolo Cocò e di padre Lazzaro. Come si svolgerà l’incontro con i detenuti?

“Innanzitutto chiariamo una cosa: il Santo Padre non viene perché ci sono stati due morti. Anche cronologicamente, la data del 28 dicembre 2013, quando è stata annunciata la visita in occasione della mia nomina a segretario generale della Cei, era antecedente di 20 giorni all’episodio in cui è rimasto vittima il piccolo Cocò e due mesi prima dell’assassinio di padre Lazzaro. La visita pastorale di Papa Francesco non è legata a questi due eventi, anche se non si può negare che siano stati vissuti dalla nostra diocesi come un dramma. Il Papa inizia la visita a Cassano dal carcere perché è il luogo di un’umanità sofferente che va incontrata nella sua sofferenza, ma anche perché vuole stimolare i detenuti a pentirsi per quello che hanno fatto: bisogna prestare molta attenzione anche alle vittime delle persone che sono in carcere. Ai carcerati, che sono persone che soffrono, provate nei loro affetti, il Papa verosimilmente chiederà di cambiare strada, e allo Stato di porre le condizioni per la dignità della vita di queste persone”.

– Tra i luoghi che visiterà il Papa, l’hospice San Giuseppe Moscati e la residenza per anziani Casa Serena: un’attenzione particolare alle situazioni di fragilità nella fase terminale della vita?

“La visita all’hospice avrà come destinatari le persone che vivono la sofferenza estrema, i malati terminali: il gesto del Papa vuole essere un segno di vicinanza alle situazioni-limite della sofferenza, e credo anche un invito allo Stato, al governo affinché presti a questa realtà maggiore attenzione, mettendo a disposizione più risorse e creando le condizioni perché anche ai malati terminali sia riconosciuta piena dignità e non li si abbandoni nell’ultima fase della loro vita. Anche a Casa Serena, che il Papa visiterà dopo il pranzo con i poveri, il gesto sarà quello di una grande attenzione, da parte del Santo Padre, verso quelle persone che hanno speso la propria vita al servizio della società, della famiglia e che hanno diritto a una vita decorosa, a vivere in maniera dignitosa la loro vecchiaia”.

– L’incontro in cattedrale con i sacerdoti sarà un’occasione per scattare una “fotografia” del clero. Con quali colori?

“Sarà una tappa molto importante, perché lì il Papa si tratterrà con coloro che quotidianamente prestano il loro impegno a servizio della gente, incontrando concretamente le persone nel territorio e nelle varie realtà della nostra chiesa locale. Ho scelto di invitare a questo incontro anche i miei tre predecessori, con una prospettiva molto precisa: far cogliere l’importanza della Chiesa che vive in continuità, perché il vescovo che arriva non cambia tutto; non comincia tutto di nuovo con il nuovo vescovo… Il vescovo sta rispondendo a ciò che il Signore gli chiede: non è il ‘capo’ della chiesa locale, non è colui che detta i ritmi della chiesa, è la chiesa la comunità che lo accoglie e che cammina con lui. Ho voluto invitare anche il vescovo della mia diocesi di origine: è importante, il desiderio è di far cogliere l’unione fra le chiese. Il seminario, del resto, è una comunità vocazionale, dove vivo anch’io: ed è bella questa esperienza di vita comunitaria. E sarà proprio il seminario ad accogliere il Papa, che pranzerà con i poveri aiutati dalla Caritas e con i membri della comunità di recupero Saman”.

– A Lampedusa i migranti, a Cagliari il lavoro. A Cassano il Papa avrà parole per la lotta alla criminalità organizzata?

“Sicuramente un riferimento ci sarà: non perché Cassano sia l’unico luogo d’Italia in cui questo avviene, ma certamente perché è un osservatorio privilegiato. La nostra, purtroppo, è una terra che fa i conti con la criminalità organizzata, e ciò provoca grande disagio tra la nostra gente. Non possiamo chiudere gli occhi e far finta di niente”.

– Nel discorso all’Assemblea della Cei, il Papa ha esortato a non creare contrapposizioni tra “noi” e “loro”, nel portare avanti l’opera di evangelizzazione. Nel “piccolo” è più facile, o la questione è più complessa?

“Sia nelle diocesi grandi, sia nelle diocesi piccole, la tentazione della contrapposizione tra ‘noi’ e ‘loro’ c’è sempre, e anzi nelle diocesi piccole può essere addirittura maggiore. La contrapposizione solo apparentemente può far sembrare più chiare le posizioni e più facile raggiungere l’obiettivo. Occorre, invece, adottare uno stile di dialogo e non di contrapposizione: l’atteggiamento di contrapposizione è sterile e non evangelico. Malauguratamente, invece, la contrapposizione è presente molto di più, non soltanto nei confronti di ciò che è esterno alla comunità ecclesiale, ma anche al nostro interno. Per motivi banali e falsamente ideologici, la tentazione è di opporre parole a parole, verità a verità, ma con l’opposizione non si va da nessuna parte. Ci vuole dialogo, condivisione, uso adeguato delle parole”.

– Il Papa ripete spesso che un Pastore deve saper stare davanti, in mezzo e dietro al “popolo” di Dio. A lei, che cosa ha insegnato la sua gente? E quale marcia in più avrete dal 22 giugno?

“A me la gente ha insegnato e insegna tantissimo, non solo nel mio ministero attuale di vescovo ma anche nei 36 anni da parroco. Da sacerdote, da vescovo, la mia gente mi ha insegnato a saper stare con gli altri, a fianco e non di fronte a loro. E questo mi aiuta a crescere come uomo e come vescovo. Tutte le persone che ho incontrato mi hanno insegnato a non spingermi troppo avanti. Preferisco camminare più lentamente, fermarmi, piuttosto che perdere di vista la mia comunità, sia la diocesi che la parrocchia”.

M. Michela Nicolais

(Fonte: SIR)

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