Eccellenza, dopo nove anni di episcopato ad Acireale, la Sua città, può fare un bilancio?
A sentire le espressioni di gratitudine che mi vengono manifestate nei saluti che mi pervengono, posso dire che le persone in generale, sacerdoti e uomini dell’Amministrazione pubblica compresi,
sono rimasti edificati del mio modo di vivere l’impegno pastorale e i rapporti personali. Da parte mia, però, devo manifestare anche un mio personale disagio per non avere saputo rispondere nel modo giusto a tutte le richieste e le sollecitazioni che la vita quotidiana presenta, sia da parte della realtà ecclesiale, sia da parte della realtà sociale.
-Può riassumere tre principi-cardine ai quali si è ispirato nella sua missione?
Presentare il volto del pastore mite e amico di tutti. Sollecitare a vivere con le note della semplicità e della apertura missionaria. Coltivare lo spirito di preghiera e la formazione spirituale.
-Durante questi anni nella nostra diocesi sono stati ordinati ventinove nuovi sacerdoti. Sono parecchi, specialmente di questi tempi che si sente parlare di calo delle vocazioni. Cosa ne pensa?
Penso che sia la risposta a una costante preghiera per le vocazioni da parte di anime che permangono nel silenzio e a una buona animazione vocazionale. Le vocazioni sono dono di Dio: vanno richieste nella preghiera; vanno curate con la sincerità e la serenità dei rapporti e la chiarezza dell’indirizzo formativo.
-C’è qualche ricordo particolare che porterà sempre con sé?
Mi porto nel cuore la vivacità pastorale della nostra Chiesa, le tante espressioni di attenzione ai poveri, per opera della Caritas diocesana e di tante Istituzioni nate per venire incontro ai più poveri. Inoltre porterò il consolante ricordo della fede delle persone e della devozione filiale nei confronti del vescovo.
-Per cosa le piacerebbe essere ricordato?
Vorrei che si ricordino l’invito alla semplicità e alla disponibilità per aiutare chi ha bisogno, senza calcolare il disagio personale nell’aiuto.
-Cosa invece rimpiange di non avere realizzato?
Non avere saputo far crescere tutti nella comunione, nella sincerità e nella semplicità dei rapporti. Come Chiesa bisogna camminare insieme ed essere fraternamente sereni e uniti.
-Cosa è, per Lei, la poesia? Continuerà a scrivere poesie?
È scoprire anche nelle cose più comuni la profondità del mistero e partecipare agli altri la bellezza attinta dalle cose. Spesso nasce dallo bisogno di additare agli altri la lettura di speranza che nasce da situazione apparentemente ostili o indifferenti. Penso che continuerò a impegnarmi per conoscere con più attenzione la realtà che ci circonda e nella quale siamo immersi e così essere anche di aiuto agli altri.
-Di cosa, secondo Lei, ha più bisogno la nostra diocesi?
Ha bisogno di vita spirituale profonda che rassereni l’animo e dia solidità e continuità alle attività. Ha bisogno di crescere nella comunione e nella stima fraterna.
-Con quale augurio accoglie il Suo successore, mons. Antonino Raspanti?
L’augurio che trovi una Chiesa che lo ami come ha amato me e si lasci guidare con la serena docilità di chi riconosce che ogni indicazione è un aiuto a crescere seriamente nella fede.
-L’Eremo di Sant’Anna sotto il Suo episcopato è stato recuperato ed ha cominciato a rivivere anche grazie agli incontri mensili di preghiera. Stessa felice sorte è stata riservata ai santuari diocesani, come quello mariano di Vena. Inoltre ha accolto nel territorio della nostra diocesi i Ricostruttori nella preghiera: ha segnato, insomma, una strada precisa indicando la via della spiritualità e della meditazione come pratica fondamentale ma anche concreta. Con quale messaggio saluta i fedeli e i lettori de “La Voce dell’Jonio”?
Vorrei ripetere per tutti la mia esperienza: “Lampada per i miei passi è la tua Parola”. La Parola del Signore è stata ed è la guida sicura per ogni tempo: indica l’essenziale per la nostra vita, addita i valori che assicurano certezza e pace, ci chiede la vita di amore vero verso Dio per lasciarci confortare dalla sua luce e ci dice di “farci prossimo” agli altri per verificare ed esprimere nella concretezza del nostro quotidiano, l’amore di Dio e la nostra fede. “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede”.