Intervista / Alfonso Sciacca sul suo libro “Il Gulli e Pennisi – Una storia”: il senso del rapporto scuola-Acireale

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A breve sarà pubblicato il primo dei due volumi del prof. Alfonso Sciacca che raccontano la storia del Liceo Classico di Acireale, da titolo “Il Gulli e Pennisi, Una Storia 1884 – 1923”, Algra Editore. Una storia che non poteva non essere narrata da chi in quella scuola c’è stato come alunno, docente e, per molti anni, preside. Sul libro in uscita abbiamo intervistato l’autore, impazienti, però, di leggere direttamente il testo.

Preside Sciacca, come nasce l’idea di raccontare la storia del Liceo Classico acese?
Il libro nasce da un atto di amore, essenzialmente, nei confronti di una scuola, il “Gulli e Pennisi”, che è stata per me una palestra di vita, prima come studente, poi come docente ed infine come preside. Una scuola quindi nella quale mi sono formato guidato da grandi maestri, dove ho imparato la difficile arte dell’insegnare e dove, infine, ho svolto il ruolo di preside: una funzione, questa, nella quale ho messo a profitto le mie qualità nell’intento di rendere questo liceo classico una vera e propria fucina educativa, a servizio dei giovani e per il bene della città. Sono convinto che negli anni della mia presidenza, che sono stati ventitré, il “Gulli e Pennisi” ha toccato i vertici dell’efficienza per la qualità dell’azione formativa e per il giusto contemperamento, realizzato dai docenti, tra l’innovazione e la tradizione. L’amore tuttavia non basta. Ho voluto riscostruire la storia del “Gulli e Pennisi” dal 1884 (fino al 1923, in questo primo volume) per chiarire quale sia stata la sua posizione e la sua funzione all’interno della città.

Siamo curiosi di scoprire come narra i fatti…
Non si tratta di una storia di aneddoti o di personaggi. Nelle mie intenzioni ho voluto scrivere una storia vera e propria, fatta di idee, innanzitutto. Poi, ovviamente, le idee hanno bisogno degli uomini per essere realizzate. E qui entrano in campo i presidi che si sono avvicendati, i docenti, gli alunni considerati nel loro insieme, le agitazioni studentesche, le posizioni politiche, il loro sacrificio nel corso della prima guerra mondiale, per arrivare all’avvento del Fascismo.

Ci anticipa qualche personaggio particolare e di rilievo?
Personaggio di primo piano è stato il preside Paolo Caldarera. Non è stato il primo preside. Ma la sua importanza è di tutta evidenza. Caldarera era un sacerdote di Randazzo.
Il vescovo Genuardi lo volle ad Acireale fin dalla fondazione della diocesi (1874). Ad Acireale egli non si trovò bene per una serie di motivi. Ma trovò l’appoggio dei padri Filippini che lo sostennero e lo aiutarono a completare i suoi studi a Napoli.
La figura di Caldarera (della quale il libro pubblica una autobiografia inedita ed importante) è paradigmatica per tanti versi e offre la possibilità, a saperla leggere, di mettere in luce la complessa articolazione e quel dibattito costruttivo, che si sviluppò dopo la istituzione della diocesi, tra il pensiero laico e quello religioso. Fu un dibattito talvolta impetuoso, sia al tempo di Genuardi che al tempo del più mite vescovo Arista. All’interno di questo dibattito un ruolo importante ebbe il “Gulli e Pennisi”. Una scuola laica con insegnanti laici, moltissimi dei quali provenivano da lontane regioni d’Italia. Costoro contribuirono in misura notevole allo svecchiamento della cultura acese, troppo legata ad antichi stereotipi ed incapace di veri e propri aggiornamenti. Il libro si sofferma sul ruolo del “Gulli e Pennisi” all’interno della città.

Come è stato questo lavoro? Cosa ha provato come scrittore ma anche come loro collega, nella storia della scuola?
Conoscere questi primi docenti, metterne in luce la cultura aggiornata, studiare i loro libri e le loro produzioni in collaborazione con gli editori acesi, individuare il loro metodo d’insegnamento, ed altre caratteristiche, è stato un lavoro duro ma appassionante. Questi docenti sono stati come dei pionieri che hanno costruito la struttura della nostra scuola. Molti sono rimasti ad Acireale, hanno messo su famiglia ed i loro eredi vivono ancora nella nostra città. Ne cito due. Il prof. Papandrea, che proveniva da Vibo Valentia ed il prof. Parlato, che proveniva da Malta. C’è stata una simbiosi culturale che ha fatto tanto bene alla città.

In questo lungo percorso ha potuto prendere spunto da altri testi simili o è andato a… braccio?
Non ho avuto modelli da seguire. Fino ad oggi sono poche le storie delle scuole italiane concepite in modo veramente storico. Molti hanno scritto, ma con larghe concessioni alla memorialistica e all’aneddotica: ho studiato registri dei collegi dei docenti, verbali di ogni tipo, letto molti libri dei docenti, ricostruito l’avvicendarsi dei docenti e dei presidi, ho perfino pubblicato il fondo antico della biblioteca d’istituto: ho avuto presente lo sfondo della storia della scuola italiana, senza la quale si disperde quella di un singolo istituto. Insomma si tratta di un vero libro di storia.
Ho scritto ad un certo punto che la storia di una scuola dovrebbe essere la storia delle sue parole. Ma è impossibile far questo! La scuola non esiste senza le sue parole. Quelle dei docenti e quelli degli studenti. Un esercizio biunivoco del parlare. La storia delle parole nel corso di circa 140 anni. Non è possibile fare un’operazione del genere. Lo storico, che non può andare dietro alle parole dette, deve almeno ritrovarne le idee che le hanno ispirato.

C’è stato, nel corso degli anni, un rapporto del “Gulli e Pennisi” con la città?
Coloro che hanno letto il libro e che mi hanno aiutato nel difficile compito della rilettura e della correzione delle bozze (un lavoro notevole trattandosi di circa 500 pagine) hanno espresso il convincimento che non si tratta solo della storia di una scuola (la prima scuola laica di Acireale), bensì dei rapporti tra la scuola, ossia il Regio Liceo, e la sua città.
In effetti la mia intenzione era proprio questa. Scuola e città interagiscono quotidianamente. Si confrontano, dibattono, talora collaborano, talora sono in contrasto. Talora è la scuola che va avanti e la città sta indietro, altre volte invece la scuola ha bisogno anche culturale della città: il mio lavoro ha cercato di mettere in evidenza il senso del rapporto tra scuola e città, ossia tra scuola e la sua società. La società delle famiglie e degli studenti. Mi auguro di esserci riuscito, soprattutto in considerazione del lungo tempo, e non solo quello della scrittura, che ho dedicato a questo mio lavoro. Un atto di amore. Ma non solo.

                                                                                   Mariella Di Mauro

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