Nella recente sessione autunnale della Conferenza Episcopale Siciliana sono stati affrontati alcuni aspetti riguardanti gli insegnati di religione cattolica nelle scuole.
Abbiamo chiesto a Barbara Condorelli, direttrice del Coordinamento regionale per l’insegnamento della Religione cattolica, di fare il punto sulla situazione alla luce delle prospettive che si apriranno con l’assunzione in ruolo di un certo numero di insegnati.
Partiamo dall’inizio. Qual è la situazione in Sicilia? Il processo di laicizzazione che c’è nel Paese riguarda anche essa e l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole? C’è un calo degli alunni che scelgono l’insegnamento? C’è un disinteresse delle famiglie?
L’esperienza siciliana in merito all’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC), continua ad essere in controtendenza rispetto ad altre zone dell’Italia; ciò è confermato dall’alto numero di alunni che si avvalgono dell’IRC, che è oltre il 95%. In linea generale certamente il processo di laicizzazione tocca anche la Sicilia, però l’effetto della laicizzazione non lo avvertiamo tanto nella scelta della disciplina, quanto nel fatto che registriamo un distacco sempre più incisivo della sfera religiosa da parte degli alunni ed anche delle loro famiglie. Nelle classi, noi docenti di religione, notiamo rispetto al passato un sempre maggiore allontanamento da una visione religiosa della vita. Gli alunni e le famiglie scelgono l’IRC perché percepiscono quanto questa disciplina sia importante nella formazione e determinante per comprendere la nostra cultura.
Come vivono questa fase gli insegnanti di religione? Come si sono organizzati visto che ormai la Didattica a distanza è lo strumento prevalente per ora e forse per tutto l’anno?
Certamente come tutti gli insegnanti, anche i docenti di religione all’inizio hanno avvertito un senso di smarrimento, non solo per la paura della pandemia, un’esperienza del tutto nuova e pericolosa per tutti noi, ma anche per l’impreparazione diffusa nell’utilizzo di nuove metodologie digitali, nonostante la scuola italiana in questi ultimi anni abbia fornito, attraverso corsi di formazione, idee, strumenti e metodologie per innovare la didattica. Non si era ancora in Italia, nella stragrande maggioranza dei docenti di tutte le discipline, pronti ad accettare la necessità di questo cambiamento.
Però questo smarrimento per noi IDR è durato poco, perché ci siamo subito attivati ed abbiamo messo in campo tutte le conoscenze e le risorse in nostro possesso per attivare una didattica a distanza che, pur con i limiti che sappiamo, uno tra tutti l’impossibilità di lavorare sulla relazione, rimaneva e sta continuando a rimanere per una buona parte di studenti l’unica forma di scuola che in questo momento possiamo offrire.
Anche a livello regionale, gli IDR delle varie diocesi si sono organizzati attraverso diverse piattaforme on line, per condividere e confrontarsi sulle diverse esperienze didattiche che si stavano mettendo in atto, per diffondere i risultati di buone pratiche e soprattutto per confrontarsi su tutti quegli aspetti che emergevano e continuano ad emergere nel fare scuola solo attraverso la DAD. Posso dire che gli IDR, nella stragrande maggioranza dei casi, sono riusciti a mettere in campo quella resilienza necessaria in questo periodo per poter affrontare e gestire i difficili momenti che stiamo vivendo.
I ragazzi nell’ora di religione come parlano di questa nuova esperienza? Gli insegnanti di religione che tipo di sostegno possono dare?
Anche tra i ragazzi le esperienze e i sentimenti dichiarati sono stati vari; in un primo momento soprattutto gli alunni delle scuole secondarie di 2° grado hanno vissuto la Dad come una possibilità di fare scuola rimanendo a casa, riducendo, non sempre per colpa loro, l’impegno profuso nei confronti dello studio, della partecipazione attiva e della responsabilità. Certamente le tante ore di collegamento, i problemi di connessione, le disuguaglianze sociali registrate soprattutto in merito al possesso dei devices, il prolungamento di questa situazione, l’annullamento delle relazioni, hanno fatto sì che adesso tutti i ragazzi stiano manifestando un disagio notevole. Dall’altra parte dello schermo, il più delle volte , vediamo volti tristi, demotivati, spenti anche in quelle che sono le manifestazioni tipiche della loro età. Per noi docenti di religione che lavoriamo di più sui bisogni educativi, sulle domande di senso, sulla persona, questa situazione rappresenta un’ulteriore sfida da affrontare anche nel prossimo futuro.
Lo scorso 14 dicembre 2020 è stata firmata un’intesa tra il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinale Gualtiero Bassetti, e la ministra dell’Istruzione, on. Lucia Azzolina, nella quale sono state confermate le normative e le condizioni che dovranno disciplinare lo svolgimento di tale concorso. Ce ne può anticipare le linee più importanti?
Il Concorso per l’immissione in ruolo degli Insegnanti di religione è un evento atteso già da molti anni; sono passati 17 anni dall’indizione del primo ed unico finora espletato, nonostante la legge 186 prevedeva una procedura concorsuale ordinaria già dopo tre anni. L’Intesa firmata il 14 dicembre tra il cardinale Bassetti e la ministra Azzolina è stato un atto dovuto previsto dalla legge 159/2019 art. 1/bis; nell’Intesa vengono ribaditi gli aspetti fondamentali previsti nelle normative che regolano l’IRC e che rappresentano dei punti fermi anche per l’indizione del prossimo concorso (i titoli di qualificazione professionale, certificato d’idoneità rilasciato dall’Ordinario Diocesano, etc.). L’Intesa non specifica i punteggi, il programma d’esame o la valutazione dei titoli, tutto questo sarà poi oggetto del futuro bando, però ribadisce quanto già normato nella legge 186 ed accoglie quanto previsto nella legge 159/2019 art. 1/bis.
È presumibile che si debba emanare un bando per indicare i criteri e le modalità dell’iter. Come si svolgerà? Chi saranno i soggetti coinvolti?
Certamente i criteri, i requisiti, le modalità, le tipologie di prove, il programma di esame, la valutazione dei titoli e del servizio, saranno definiti nel bando che dovrebbe uscire entro il 2021.
I punti di criticità avvertiti dalla maggior parte di coloro che aspettano il concorso da tantissimi anni ed anche da diversi sindacati sono due: il primo è relativo al fatto che il concorso che dovrebbe essere bandito è un concorso ordinario, non si prevede, così come è stato previsto per altre classi di concorsi, un concorso straordinario magari solo per titoli e servizio riservato a coloro che insegnano da più di tre anni.
La seconda criticità è che si prevede che solo il 50% dei posti disponibili sarà riservato ai docenti IDR cosiddetti precari, che abbiano almeno tre anni di servizio, il resto del 50% è aperto a tutti coloro che possiedono i titoli professionali anche senza aver fatto un solo giorno di servizio; tutti comunque devono essere in possesso del certificato d’idoneità diocesana. Inoltre questo concorso sulla stessa stregua di quelli ordinari banditi dal Ministero, dovrebbe prevedere diverse prove, compresa la prova della lingua straniera e la prova informatica.
Si è parlato anche di sostituire gli esami con una immissione per titoli. Risulta vero? È percorribile questa strada? Che vantaggi porterebbe?
Il malessere, la delusione e le preoccupazioni maggiormente avvertiti, visto anche che saranno messi a concorso solo quei posti liberi che rientrano nel 70% dell’organico e che si assiste sempre di più ad un forte decremento demografico, sta proprio nel fatto che, dopo tanti anni, i docenti di religione incaricati annuali che prestano il loro servizio da molti anni si aspettavano un trattamento ed una procedura simile a quella che viene applicata per altre classi di concorso dove viene riconosciuta l’abilitazione a coloro che insegnano da più di tre anni. So che sono state presentate al MIUR tutte queste istanze e che in atto ci sono diversi incontri con i Sindacati proprio per trovare un punto di incontro, ma ad oggi, oltre al fatto che è stata rimandata la data al 2021 entro cui deve essere bandito il concorso, non c’è nulla di nuovo. Siamo in attesa!
Come si preparano Vescovi e genitori alla imminente scelta di avvalersi dell’IRC in occasione dell’iscrizione al prossimo anno scolastico che si sta svolgendo in questi giorni? Ci sono particolari iniziative in campo visto che le scuole sono praticamente chiuse e tutto si fa per via telematica?
La CEI proprio lo scorso 8 gennaio ha pubblicato, in vista delle iscrizioni al nuovo anno scolastico2021/22 il messaggio della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana in vista della scelta di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica in ogni ordine e grado. Ancora una volta in questo messaggio si ribadiscono i principi fondamentali, le finalità ed il ruolo culturale dell’IRC nella scuola italiana. La cultura italiana ed anche quella di tutti i Paesi occidentali non può essere compresa senza riconoscere il ruolo pregnante che ha avuto il Cristianesimo e nello specifico anche la Chiesa Cattolica nella storia di questi Paesi, ma nello stesso tempo non possiamo neanche trascurare il ruolo fondamentale svolto dall’IRC e dagli IDR nella formazione globale degli studenti.
L’IRC è una disciplina curriculare che intercetta forse più delle altre le domande esistenziali degli studenti; e proprio in questo tempo dove tutti stiamo sperimentando la fragilità e la paura, una fragilità che sta mettendo a dura prova i nostri bambini e ragazzi, a mio avviso l’IRC rappresenta una possibilità di confronto, di riflessione e di crescita sicuramente significativa capace di affrontare le tante sfide che la società di oggi e il tempo che viviamo ci offrono.
E questo come si traduce nelle scuole?
Quest’anno in tempo di pandemia tutte le scuole si stanno confrontando con l’orientamento per via telematica. Ogni scuola sta presentando il PTOF e la propria offerta formativa, compreso l’IRC, alle famiglie e agli studenti attraverso varie piattaforme o l’utilizzo dei social. Non dobbiamo trascurare l’importante lavoro che in tutti questi anni hanno fatto i docenti di religione, molti dei quali svolgono ruoli di responsabilità all’interno delle scuole, nel riuscire a presentare così come hanno sottolineato i Vescovi nel Messaggio “una disciplina in grado di consentire di vivere il tempo della scuola come un’occasione di reale formazione delle nuove generazioni in modo sano e costruttivo, per il bene dei nostri ragazzi e della nostra società”.
C’è chi sostiene ormai superato il concetto di insegnamento della religione cattolica preferendo a questo un più vasto insegnamento sulle religioni che darebbe spazio e confronto anche ad altre esperienze molto presenti in Italia. Che ne pensano i Vescovi? E gli insegnanti di religione?
Il pensiero dei Vescovi penso sia già espresso nel Messaggio rivolto alle famiglie e agli studenti in merito alla scelta dell’IRC. L’IRC oggi, in un tempo secolarizzato, dove le proposte religiose e culturali si moltiplicano, ma anche spesso si relativizzano, non è una disciplina anacronistica o fuori dal tempo, ma rappresenta una reale opportunità offerta a tutti credenti, credenti anche nelle varie religioni, agnostici e non credenti. Molti dicono che la nostra presenza nella scuola si giustifica in forza del Concordato. Certamente è vero, però è anche vero che questa disciplina in quasi cento anni ha rappresentato un valore aggiunto per l’educazione delle giovani generazioni, un valore che non va assolutamente sottovalutato. Inoltre, nonostante sia l’IRC una disciplina che si sceglie e nonostante la geografia culturale e religiosa delle nostre classi è sicuramente diversa rispetto a qualche decennio fa, l’IRC continua ad essere scelto e questo fatto deve essere tenuto in adeguata attenzione.
Francesco Inguanti
(da “Giorno8”, testata
dell’arcidiocesi di Monreale)