Intervista / Chiacchierata con Alessandra Turrisi, autrice di “Paolo Borsellino, l’uomo giusto”. Un pensiero particolare ai figli, portatori di una pesante “eredità”

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La presentazione del libro al "Costarelli". Alessandra Turrisi tra G. Vecchio (a sin.) e M. Di Prima (a destra)

In occasione della presentazione del libro “Paolo Borsellino, l’uomo giusto” nella sala conferenze dell’Associazione Costarelli, l’autrice, la giornalista palermitana Alessandra Turrisi, ha gentilmente risposto ad alcune nostre domande, per ascoltare direttamente, da colei che lo ha scritto, sensazioni e motivazioni di questa interessante opera.

– Dottoressa Turrisi come e quando nasce l’idea di un libro sul dott. Borsellino?
Quest’anno ricorrono i venticinque anni delle stragi di Capaci e via D’Amelio, ma ci sono anche altri importanti anniversari, i trentacinque anni della morte del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e del politico e sindacalista Pio La Torre. La casa editrice San Paolo ha voluto dedicare una collana a questi uomini delle istituzioni, che hanno sacrificato la propria vita, uccisi dalla mafia. Ma la chiave di lettura di quest’opera è stata quella di arrivare all’uomo, alle sue caratteristiche umane, ai suoi rapporti con la gente, fosse stato un amico, un collega, i familiari, un politico, un imputato, un criminale incallito. Oggi noi li conosciamo come eroi, ma erano uomini come noi, con i loro limiti, ma anche con grandi atti di coraggio, forza, intuizioni, momenti di sconforto, di ira, non santini con l’aureola ma santi perché martiri, perché morti a causa del loro lavoro.”

– In questo libro lei cita molti persone, familiari, amici, colleghi del magistrato. Ha avuto modo di conoscerli personalmente?
“Volevo portare le testimonianze di coloro che pur avendo conosciuto e frequentato il dott. Borsellino in questi venticinque anni non avevano mai parlato, non avevano ‘pubblicizzato’ la loro amicizia. Avevano invece custodito gelosamente nel loro cuore il ricordo del magistrato, dell’amico, del collega. Come Diego Cavaliero, oggi consigliere di Corte d’Appello a Salerno, che fu il primo sostituto procuratore di Borsellino a Marsala quando la procura era sguarnita, non c’era nessuno, e quindi si dividevano il lavoro al cinquanta per cento. Diventarono colleghi, poi amici, poi in seguito si instaurò, visto la differenza d’età, quasi un rapporto filiale. E poi il barbiere, il collaboratore informatico, ma anche tanti sacerdoti, ricordando che il dott. Borsellino era un uomo di profonda fede.”

– Il dott. Borsellino, come sappiamo, ha visto morire il suo amico e collega Giovanni Falcone. In quei terribili 57 giorni che separarono i due amici e colleghi al tragico destino, come visse il magistrato?
“Entrambi sapevano di essere due morti che camminavano. Se lo dissero tante volte in occasioni di altre stragi eccellenti. Ma è anche vero che il dott. Borsellino diceva che finché il suo amico e collega Giovanni fosse stato vivo, a lui non sarebbe capitato niente. Sapeva che era arrivato il tritolo per lui, quindi incominciò ad avere un atteggiamento di distacco e, cosa più toccante, assunse questo atteggiamento, come testimonia un sacerdote, anche nei confronti dei figli, da lui amatissimi, per prepararli all’inevitabile e doloroso distacco. Ebbe a dire spesso, in quei tragici giorni, alla moglie e ai suoi collaboratori, di avere fretta, molta fretta, doveva parlare, finire indagini. Il tempo stava per finire.”

La presentazione del libro al “Costarelli”. Alessandra Turrisi tra Giuseppe Vecchio (a sinistra nella foto) e Mario Di Prima (a destra)

– I figli Lucia, Manfredi e Fiammetta hanno vissuto il dolore, la lacerante assenza. Un pensiero suo a questi allora ragazzi, oggi adulti, con una pesante e importante “eredità”.
“Sì, ragazzi coraggiosi, oggi adulti consapevoli. Nel mio libro parlo di Lucia che non solo volle vedere il corpo martoriato del padre, ma che qualche giorno dopo, tra lo stupore dei professori, si presentò all’università per sostenere un importante esame. Il figlio Manfredi in una lettera ha scritto che l’eredità lasciata dal loro papà è stata quella di essere sempre coerenti, fare il proprio dovere e non cedere mai a compromessi.”

– E per finire, un suo pensiero su Paolo Borsellino dopo la stesura di questo interessante e attento volume.
“Ho avuto la fortuna di scoprire una persona integra, unica. Grazie a questo libro corale le testimonianze convergono tutte, chi racconta un aneddoto, un processo, un’esperienza di lavoro, ma tutte portano a lui come ad un uomo con un solo modo di essere, un uomo con una unicità rara, un esempio per tutti, al di là del lavoro che si svolge, ma che può essere un faro. Questa è sicuramente la parte più bella che ho scoperto.”

Gabriella Puleo

 

 

 

 

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