Il 15 ottobre don Dario Impellizzeri ha ricevuto l’ordinazione presbiterale nella Basilica San Filippo d’Agira in Aci San Filippo. Qui ha poi officiato la prima celebrazione eucaristica. Familiari, confratelli seminaristi e l’intera comunità hanno fatto ala alla sua gioia. A condivisione di tale spirito augurale abbiamo posto a don Dario alcune domande.
Don Dario Impellizzeri, per la sua ordinazione ha scelto l’icona del Cristo Buon Pastore che porta il peso della pecorella smarrita e ritrovata e l’invito di Santa Teresa d’Avila Nulla ti turbi nulla ti spaventi solo Dio basta. Come coniugare tali principi ispiratori della sua vocazione?
Ogni pastore e curatore d’anime che zela per quanti a lui affidati, non può far a meno di volgere il proprio sguardo all’immagine di Gesù, pastore buono e bello, che caricandosi della pecorella ferita e smarrita, redime e salva l’intera umanità. L’icona vuole essere un monito severo e chiaro. Dovrò allenarmi per caricare su di me tutte le difficoltà, i problemi, le gioie, indi la vita di quanti il Signore vorrà pormi innanzi. Ciò sarà possibile solo seguendo il monito di Santa Teresa d’Avila per cui una cosa sola è importante, una sola basta: Dio!
Nella sua formazione teologica quanto hanno inciso gli studi presso il Centro di Studi Teologici San Paolo di Catania. E in particolare quali discipline ha sentito più vicine alle sue sensibilità e più edificanti per la sua futura missio sacerdotalis?
Lo studio, in particolare di filosofia e teologia, è pilastro essenziale nella vita di un sacerdote e, in senso lato, di ogni credente che si ponga alla ricerca, con cuore umile e aperto all’ascolto, della Verità Rivelata: Cristo Gesù. Anni di impegno che mi hanno plasmato e formato secondo la dottrina della Chiesa nella sua multiforme sapienza. Tra i più edificanti, sicuramente gli studi storici che hanno permesso a me come a tanti altri, di scoprire, nelle pieghe della storia, l’azione salvifica e prodigiosa di Dio che mai abbandona la sua Chiesa. La storia è Magistra vitae per tutti. Perché ponendoci alla scuola di chi ci ha preceduto, possiamo e dobbiamo lottare per un mondo migliore, radicato e fondato sui dettami evangelici.
Lei è legato al monito reso da San Pio X nell’ enciclica Pascendi Dominici Gregis “L’officio divinamente commessoci di pascere il gregge del Signore ha fra i primi doveri imposti da Cristo, quello di custodire con ogni vigilanza il deposito della fede trasmessa dai santi, ripudiando le profane novità di parole e le opposizioni d’una scienza di falso nome”. Quanto tale richiamo risuona ancora attuale e come fronteggiare tendenze così presenti nella società?
Redigendo la mia tesi ho potuto apprezzare la poliedrica figura di San Pio X, pontefice e padre che ha saputo, per i suoi tempi, essere profeta e custode del Vangelo e del Magistero della Chiesa. Ricordato solo come persecutore del modernismo, egli fu invece fautore di molte riforme, vitali per la Chiesa e la sua storia. Non perse mai di vista, come nell’incipit alla sua enciclica più nota, l’onere di essere vigile depositario di un retaggio così straordinario. Sul suo grande esempio, noi pastori dobbiamo imparare a custodire quanto affidatoci. Senza permettere alle idee del mondo, che spesso recano morte e distruzione, di intaccare o edulcorare l’insegnamento di Cristo e della sua Chiesa. A noi il compito, anzi il dovere, d’affermare ciò con convinzione; nella consapevolezza di non essere persecutori e giudici del mondo che ci circonda. Ma al contrario, strumento di salvezza e consolazione per esso, ferito e piagato dalle “moderne idee” e “dalle scienze di falso nome”.
Don Dario Impellizzeri, le è molto caro il brocardo di S. Tommaso D’Aquino. Al buon traduttore delle verità riguardanti la fede cattolica spetta conservare la sentenza cambiando il dono di parlare secondo la proprietà della lingua nella quale traduce. Come la risposta di una Chiesa in uscita, fortemente perorata nel cammino sinodale, può e deve rimanere fedele a questa regola?
Ritengo che l’espressione dell’Aquinate debba essere linea guida per una Chiesa, sinodale o meno, che voglia affrontare un vero cambiamento ed essere realmente “in uscita”. Uguale e sempre nuova da due millenni, essa non può e non deve rinunciare alle verità di fede che crede e professa. Salvo tradire Cristo stesso e il suo mandato apostolico. Il Doctor Angelicus precisa che, fatto salvo ciò, l’impegno ecclesiale deve poter mutare il linguaggio con cui sono tramandati e insegnati doni così grandi e importanti. Dobbiamo saper parlare agli uomini del nostro tempo. Tenendo fermo che è impensabile, se non meritevole di condanna se non umana, divina, modificare ciò che Cristo ci ha consegnato come lascito, non solo per la nostra salvezza ma per quella del mondo intero.
Infine le chiediamo quali consigli sente di poter suggerire a chi si stia interrogando nell’intimo per trovare la propria risposta a una chiamata alla vita sacerdotale.
A chi si sta interrogando o ha già aperto il cuore alla chiamata vorrei solo raccomandare e augurare di fidarsi e affidarsi a Dio e alla Sua volontà. Se Egli ci chiama a un dono così grande, senza alcun merito personale, e ci carica di tali responsabilità, ci renderà capaci. Non manchi mai la preghiera assidua, unico valido sostegno, porto sicuro nelle tempeste quotidiane. E la gioia, indole primaria dei ministri del Vangelo, la cui accezione etimologica è proprio “buona novella”. Un annunzio di bellezza non può che trasmettersi con gioia ed esultanza, qualità proprie dei figli di Dio.
Rievocando la promessa del nostro Signore Et tibi dabo claves regni cælorum auguriamo a don Dario di poter sempre elargire questo Dono, strumento di salvezza, con fedeltà e misericordia.
Giuseppe Longo