Intervista / Don Orazio Barbarino: “Creeremo una “scuola di comunità”per combattere la solitudine

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La chiesa come scuola di comunità

In una società iperconnessa, in cui tutto è virale e tutto si conosce, quella della solitudine è una realtà che sembra sotto gli occhi di tutti ma allo stesso tempo dimenticata dai più. Ne abbiamo parlato con don Orazio Barbarino, che propone una “scuola di comunità” per abbattere il pesante muro dell’individualismo che la società sta contribuendo ad innalzare.

Da cosa nasce l’idea di una scuola di comunità?

Tutte le iniziative che noi possiamo fare, io penso o vengono dal cuore o sono semplicemente delle chiacchiere. Pertanto ho sentito il bisogno di proporre ad altri quello che personalmente io sperimento: la necessità di combattere la solitudine. Oggi c’è una grande solitudine, per tantissimi motivi diversi: viviamo in un mondo in cui l’uomo conta poco a favore di un’accentuata apparenza. La società consumistica, così esasperata, sta contribuendo a distruggere nel profondo l’umanità. 

Quale ruolo ha, secondo Lei, la Chiesa in questa dinamica?

La Chiesa ha combattuto molte battaglie nel corso della sua storia e non credo che si sia opposta con la giusta forza a questo fenomeno economico-sociale. Non si è resa conto che questo è il primo nemico dell’uomo. Di tutti gli uomini, dei piccoli, dei grandi, dei ricchi, dei poveri, dei cristiani, dei musulmani, di tutti. Pasolini sosteneva che tutto quello che non era riuscito a fare il fascismo è riuscito a fare il consumismo: ha creato una nuova religione così coinvolgente che fa rubare, desiderare, invidiare ed odiare.Don Orazio Barbarino

Quindi l’idea della “scuola di comunità” nasce in opposizione a questa realtà?

Di fronte a questo solitudine immensa ed a questa schiavitù che viviamo quotidianamente, la gente non riesce più nemmeno a salutarsi, dalla mattina alla sera è intenta a cercare soldi. Le ricevitorie sono affollate, la gente si ferma e gioca, come se la soluzione del problema sia nella vincita. Io penso che noi cristiani abbiamo ancora qualcosa da dire e da condividere: è la nostra stessa vita. Io sono un cristiano e non sono un cristiano soltanto per me: lo sono per me e soprattutto per gli altri.

Gesù è un principio di vita: cioè mi insegna a vivere, a perdonare, ad amare, a non scoraggiarmi, a ricominciare. Se il Vangelo è un libro di vita, il cristianesimo è l’esercizio di virtù a cui siamo chiamati.  Sarebbe un guaio se dimenticassimo questo, anche perchè corriamo il rischio che davanti alla solitudine degli altri ci ritiriamo di buon ordine. Sono convinto che sia il momento di tirare fuori il meglio di noi stessi, di offrirci e donare agli altri un luogo dove condividere e vivere la forza della vita stessa nello spirito d’amicizia.

Bisogna quindi che si torni all’essere comunità, nel suo senso più bello

Si. Ho pensato che è il momento di costituirsi in vera comunità. Ma non su carta, ma attraverso la nostra stessa vita. Per cui venerdi 1 dicembre, io voglio proporre proprio questa scuola di comunità, di cristianesimo, che inizia da noi: da quelli a cui piace essere cristiani, che non vogliamo lamentarci dalla mattina alla sera, quelli a cui piace stare insieme perché un altro ci mette insieme.

In fondo siamo chiamati ad essere cristiani sul modello di Gesù, che diceva quello che pensava, viveva quello che credeva ed era pronto a difenderlo. E noi siamo qui non per imporre, ma per proporre proprio come ha fatto Lui per primo.la chiesa casa di comunità e condivisione

Cosa indica di fare, quindi?

Questo è il tempo del proponimento dell’offerta; siamo qui come poveri uomini, senza nessuna pretesa né vergogna. Vogliamo condividere il pane, sperimentando e gustando la gioia del ritornare ad essere comunità. Dieci mattoni separati non fanno una casa. Dobbiamo unirci e mettere insieme le risorse e le energie che abbiamo, se fossimo davvero insieme potremmo costruire qualcosa di bello. Penso che sia il tempo in cui si deve tornare a rischiare, condividendo le nostre domande e anche aiutando il prossimo a trovare le risposte che cerca.

E’ quindi un’ esigenza propria dell’uomo tornare ad essere comunità?

Si. L’esigenza di una scuola di comunità è anche per tornare a dire che è bello stare insieme. Pensiamo al focolare: siamo in un periodo che fa freddo, no? Stare in un posto dove c’è più calore è più bello. Se attorno al focolare ci fossero anche gli affetti, le persone care, gli amici tutto prenderebbe una piega migliore.

Come immagina questa scuola?

Questa scuola che io sto pensando non è una scuola dove ci sono i maestri e gli altri devono apprendere, come degli scolaretti. Tutti siamo maestri e allo stesso tempo tutti abbiamo bisogno di imparare.

Chi terrà gli incontri?

Il primo lo terrò io per riportare il perché di questa iniziativa. Ma ci saranno anche altri che ne prenderanno parte. Per esempio il secondo incontro, posso anticipare, lo terrà Antonio Presti, il grande mecenate. Ogni appuntamento sarà un dono ed è tempo di tornare a donare. “Donare” e “seminare” sono verbi che dobbiamo imparare a coniugare. Ed aggiungerei un terzo verbo “camminare”.

C’è quindi un parallelismo con la proposta sinodale che ha lanciato Papa Francesco

In questo senso sì. Camminiamo insieme, costruiamo una Chiesa bella, una Chiesa che va verso gli altri. Riconosciamo anche l’importanza di andare incontro alle periferie urbane ed esistenziali. Non basta solo l’incontro occasionale, bisogna anche indicare il luogo dove vivere la comunità. Noi sacerdoti non possiamo vivere sotto il campanile o nelle sacrestie, dobbiamo uscire e farlo con la nostra storia, senza imporci e mostrarci pronti all’ascolto.
E’ questa la mia intuizione che voglio portare avanti.

In che modalità sono previsti gli incontri?

Un incontro ogni due settimane. Poi di volta in volta quando la scuola procederà nel suo percorso, si terrà anche conto delle esigenze.  Sarà come un palazzo con varie stanze ed ogni stanza sarà un tema. Tutto ha dignità: la politica, l’economia, la bellezza, il corpo, l’uomo, la donna, il bambino, il vecchio, la malattia, la salute… Tutto concorre affinchè la vita sia reale e non fittizia. La scuola di comunità rimette al centro la vita effettiva, cioè fatta da noi, nient’altro.

 

Chiara Costanzo