L’Associazione culturale “Percorsi divertenti”, costituita nel 1998, è stata fondata da Filippo Aricò, giornalista e attore/regista teatrale, e Letizia Catarasso, autrice teatrale e autrice; un’associazione che svolge la propria attività viaggiando su dei binari ben definiti e non negoziabili: sperimentazione di nuovi linguaggi artistici, trasmissione delle tecniche teatrali ai giovani e assoluta autonomia economica ed ideologica. Intervistando Filippo e Letizia abbiamo scoperto delle persone straordinarie, come del resto sono tutti i veri artisti, capaci di trasmettere, con particolare enfasi e commozione, molto della loro passione e della loro esperienza di vita.
Filippo quando e come nasce la tua passione per il teatro?
Ho iniziato per gioco a 12 anni; quando rimanevo solo a casa perché tutta la famiglia andava a lavorare, io organizzavo nel salone un teatrino a pagamento per i bambini
del palazzo. Crescendo ho
iniziato a fare sul serio frequentando le scuole opportune, prima a Catania poi in altre scuole in ambito nazionale, lavorando al fianco di artisti e registi importanti finché è nata l’esigenza di fare un teatro secondo quello che era il mio sentimento interiore, la mia cultura: un teatro che voleva lasciare un’impronta nella propria città con un messaggio ben preciso. E con quest’idea, nel ‘66/67 con un gruppo di amici abbiamo iniziato affittando una piccola sede – io ho sempre avuto piccole sedi. successivamente, più o meno 43 anni fa, ho incontrato una splendida compagna con cui ho iniziato non solo un nuovo percorso artistico ma anche un percorso di vita insieme, appunto Letizia. Nel frattempo, era nata anche la televisione e, quindi, ho iniziato a lavorare prima su Telecolor, poi su Antenna Sicilia ed altre reti locali, sempre occupandomi però di ragazzi e di teatro.
Cosa hai proposta alla città per lasciare la tua impronta?
L’idea che continuo a portare avanti è di un teatro di avanguardia, di sperimentazione ma quello che mi sta o “ci” sta più a cuore è che, quando siamo sul palcoscenico, le cose che diciamo diano un’emozione e suscitino nel bambino la voglia di capire quello che ha ascoltato aprendo un dialogo col genitore o col nonno che lo ha accompagnato. Abbiamo creato comunque anche spettacoli ed iniziative forse un po’ provocatorie ma al solo fine di richiamare l’attenzione della città stessa e delle autorità per ottenere un minimo di riconoscimento.
Quindi un teatro per i bambini?
No, non esattamente. Più un teatro per la famiglia. Visto che i bambini sono accompagnati dagli adulti, i nostri testi devono essere compresi con una chiave di lettura per bambini ed una chiave di lettura per adulti.
E siete riusciti a conquistarla, questa attenzione?
Ovviamente non dalle autorità che spesso hanno fatto finta di ascoltare ma poi, nella praticità, non hanno fatto mai nulla. Ma dalla città sì, in qualche modo sì. Quando, per esempio, abbiamo fatto una festa per il finanziamento, un auto finanziamento: mentre i nostri collaboratori facevano lo spettacolo all’interno, noi ci siamo messi davanti la porta del teatrino offrendo brioches con la nutella e fichi d’india e abbiamo raccolto una bella somma perché c’è stata molta partecipazione.
Siete rimasti sempre e solo una realtà locale? O siete riusciti ad andare anche fuori Catania?
Siamo stati anche all’estero, abbiamo fatto spettacoli e rassegne internazionali oltre che in Tunisia, in Algeria, siamo stati anche in Svezia, in Francia, in Russia. Principalmente tramite contatti personali, in particolare quelli di Letizia che, in quanto autrice, ha ricevuto parecchi riconoscimenti e questo è stato uno strumento mediatico molto utile. Ma a Catania abbiamo fatto tanto, siamo riusciti a fare anche Piccola Opera, prodotto dal Teatro Massimo Bellini: opere liriche in forma teatrale con musica dal vivo e teatro di figura; in quasi tre anni, siamo riusciti a coinvolgere circa 15000 ragazzi l’anno. L’ultimo anno, però, a seguito della crisi che il Bellini ha dovuto affrontare, non siamo più stati pagati e abbiamo dovuto rinunciare al progetto e, purtroppo, siamo entrati in crisi anche noi. Fortunatamente in ogni crisi abbiamo sempre trovato il modo e le risorse per risollevarci.
A proposito di crisi: come avete affrontato l’emergenza sanitaria e il gravoso lockdown?
In un primo momento, sembrava solo una minaccia forse un po’ sottovalutata: inizialmente siamo riusciti lo stesso a tenere coinvolti ragazzi e genitori semplicemente spostando i laboratori all’esterno, cioè alla Villa Bellini, all’Orto botanico. Poi il problema è diventato veramente serio e allora abbiamo proposto di fare le lezioni online e, dopo qualche perplessità iniziale, abbiamo continuato a riscuotere il sostegno delle famiglie e abbiamo continuato con le lezioni. Inoltre, poiché i nostri burattini sono fatti artigianalmente da Letizia – io dò solo le voci – abbiamo fatto la proposta di acquistare i nostri burattini, con un piccolo importo che era sufficiente a sostenerci. È andata benissimo, perché siamo riusciti a coprire le nostre piccole grandi spese di affitto e bollette durante tutti e tre i mesi di isolamento. Certo, se l’emergenza dovesse continuare non sarei sicuro che riusciremmo a sopravvivere.
Letizia, perché il nome del teatro “Zig Zag”?
Questo nome deriva dal libro di David Grossman che si intitola proprio Ci sono bambini a zig zag, un romanzo di formazione per bambini, un libro che parla della vita e del suo fascino, del desiderio di non sprecare neanche un istante perché la felicità non si trova su un percorso in linea retta bensì percorrendo percorsi a zig zag. E il nostro vuol essere un teatro che insegna qualcosa e che nel suo piccolo spera di riuscire a cambiare qualcosa, anche semplicemente iniziando dal sorriso che la gente ritrova attraverso lo spettacolo.
Ci sono episodi emblematici o che comunque vi hanno dato la soddisfazione che speravate di prendervi dal vostro modo di fare teatro?
Si, ci sono due episodi molto semplici che mi piace raccontare sempre. Il primo, quando abbiamo iniziato a fare gli spettacoli in ospedale – e tengo a dire che eravamo tra i primi – attraverso anche un progetto che coinvolgeva le alunne della “Lucia Mangano”. Ci capitò di fare degli spettacolini in reparti dove vi erano ricoverati bambini che facevano la chemioterapia. In una di queste occasioni, ci fu un genitore che, dopo lo spettacolo ci confessò che, nel vederci arrivare aveva provato molta ostilità nei nostri confronti pensando che fossimo insensibili di fronte alla criticità delle condizioni di salute del figlio, ma dopo aver visto il bambino sorridere e divertirsi ci chiese scusa e ci ringraziò. Un altro episodio fu quando in Tunisia esibimmo lo spettacolo della storia di Gammazita, ovviamente in francese, con la quale il messaggio che volevamo trasmettere era che “ci vuol più coraggio a non essere violenti, a non fare le guerre, che ad attaccare”. Finito lo spettacolo, mi sono rivolta al mio giovane pubblico ripetendo questa domanda: Chi, chi ha il coraggio di non fare la guerra? Allora dal fondo della sala si è alzato un bambino molto piccolo che con molta spontaneità ha urlato in francese: io, io ho il coraggio di non fare la guerra. Ecco mi piace credere che quel bambino ha davvero recepito il senso del messaggio e magari, crescendo, ha scelto di non essere un terrorista e chissà, come lui, tanti altri.
L’associazione oggi ha sede a Catania in via Canfora, 69 dove tutti i martedì e i giovedì pomeriggio vi si svolgono laboratori teatrali dedicati ai bambini tra i 6 e i 15 anni, i lunedì sera si tiene un corso di Tecnica della Narrazione per docenti e animatori e tutti i sabati e le domeniche vengono rappresentati spettacoli dedicati all’infanzia.
Tanto divertimento, dunque, ma anche tanto impegno e tanta voglia di comunicare, di esprimere: un’attività che va riconosciuta, apprezzata e, soprattutto, sostenuta.
Cristiana Zingarino