Intervista / I tre anni del Vescovo di Acireale mons. Antonino Raspanti: “Costruiamo insieme la casa sulla roccia”

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1 ottobre 2011: Celebrazione dell’Ordinazione Episcopale di mons. Antonino Raspanti (al centro). Sulla sinistra il vescovo emerito mons. Pio Vittorio Vigo. Sulla destra don Roberto Strano.

Ecc.za Rev.ma, era l’1 Ottobre del 2011 quando tra due ali di folla trepidante e festante faceva il suo ingresso in una cattedrale gremita all’inverosimile, con una piazza Duomo interamente occupata da fedeli giunti da ogni parte della diocesi e dalla sua diocesi di origine, Trapani. Acireale viveva così in un unico momento l’Ordinazione episcopale e l’insediamento del suo 11° Pastore. Che ricordo ha di quei momenti. Quale immagine porterà sempre con sé? 

Si, tre immagini in particolare porterò sempre con me. La prima è appunto la vista dal sagrato di San Pietro di Piazza Duomo piena di gente festante. E lì, in un colpo d’occhio, ho colto subito il calore e l’affettuosità della gente. La seconda immagine è legata alla calca della gente che voleva a tutti i costi avvicinarsi a me quando ero sceso per dare loro la benedizione. Ed infine la terza immagine è legata al saluto dato, alla fine della celebrazione, dal balcone dell’episcopio: ricordo il chiarore della luna in un cielo limpido che permetteva quasi di distinguere uno ad uno i volti dei fedeli che nella piazzetta sottostante attendevano ancora una volta la mia benedizione.

Il motto episcopale che lei allora ha scelto recita “Humilitas ac dulcedo” e riprende una celebre espressione di San Francesco di Sales. Perché questa scelta?

26 giugno 2014 Nunziata (Mascali): Raduno diocesano dei Ministranti.
26 giugno 2014 Nunziata (Mascali): Raduno diocesano dei Ministranti.

Nell’espressione di San Francesco di Sales è sottinteso “umiltà davanti a Dio e dolcezza davanti agli uomini”. Ciò indica la capacità di rimettersi completamente nelle mani di Dio, confidando nella sua scelta. Se mi ha scelto ad essere successore degli apostoli è perché sorretto dal suo amore sarò messo in grado di compiere il ministero richiesto di guida e salvezza delle anime, affinché queste possano avere il contatto vivo con Cristo. E l’unico modo per facilitare ciò è che la mia persona anzitutto si nutra sempre di questo contatto vivo con Cristo.

Dopo tre anni di ministero, quali sono le grandi linee programmatiche che intravvede per il prossimo cammino pastorale della diocesi?

Nell’organizzare l’opera pastorale della diocesi non si può non fare riferimento ai grandi fatti della chiesa universale che direttamente ci coinvolgono. Penso al Sinodo sulla famiglia e al Convegno della Chiesa d’Italia del 2015. Certamente due temi che non passeranno inosservati: il tema dell’umanesimo ha a che fare con la capacità di creare spazi di umanità vera, piena e riconciliata in tutti gli ambiti in cui ci muoviamo; il tema della famiglia riguarda non solo la famiglia cristiana, ma un modo di tessere relazioni stabili che sarà cruciale per tutta la società almeno per i prossimi decenni.

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Il Vescovo mons. Raspanti e il rappresentante della religione Buddista, durante l’incontro di maggio 2014 ad Altarello (Giarre).

Lei è direttamente coinvolto nell’organizzazione del V Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze del 2015 il cui titolo recita “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Quali sono le attese e qual è la posta in gioco?

Si tratta di capire se il cristianesimo, che nel nostro mondo occidentale è rimproverato di essere antiquato, prodotto per vecchi, non adatto alle nuove visioni tecnologiche, bioetiche, politiche, familiari e sociali, è un dato ormai superato e datato, incapace di creare spazi nuovi che riempiono l’uomo e la donna donandogli felicità. La risposta al quesito di fondo non arriverà certo da relazioni o linee programmatiche, ma dal lavoro concreto che le singole comunità riescono e riusciranno ad attuare nel proprio territorio.

Il ministero la vede quindi coinvolta non solo nell’ambito diocesano, ma anche in ambiti molto più vasti. Basti pensare al già ricordato Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze ma anche al Cortile dei gentili. Come vive ciò? Come qualcosa che rallenta la sua opera in diocesi, o come un’opportunità?

Solitamente vivo ciò come una opportunità, ma confesso che in alcuni momenti ho avvertito qualche scrupolo, pensando di togliere forse qualcosa alla vita diocesana. Tuttavia vivo ciò con molta serenità, pensando che il mio impegno al di fuori della diocesi altro non è che la risposta ad una chiamata ricevuta. Il mio augurio è che tutto ciò possa essere vissuto come un’opportunità anche dal presbiterio e dai fedeli, pensando al mio impegno extradiocesano non come ad un fatto personale.

Sono molteplici i campi verso cui il vescovo deve porre la propria attenzione: presbiterio, fedeli, istituzioni. Quale ritiene essere sia stato il suo apporto verso ciascuno di questi ambiti?

Per la verità non mi piace esprimere giudizi diretti sul mio operato. Comunque mi sento di dire che verso i fedeli ho dedicato molta cura all’ascolto e spesso ho percepito molta voglia e desiderio di lavorare nella chiesa per la crescita comune. Nel presbiterio, dopo il primo periodo di conoscenza, si sta attuando una progressiva intesa che si nutre di fiducia reciproca. Infine, nei riguardi delle istituzioni il mio compito è stato anzitutto quello di rappresentare una chiesa attiva, vigile, attenta e non disinteressata al sociale.

Nel suo discorso di ringraziamento, al termine della sua ordinazione episcopale, citò una frase di Adrienne von Speyr, la quale affermava che «nel Dio di Gesù Cristo quanto più le Persone si differenziano e crescono nell’autonomia, tanto più è grande la loro unità». Credo si tratti della grande scommessa del crescere nella comunione pur nella diversità. A tal proposito, come vede la nostra diocesi?

Beh, la nostra diocesi, a differenza di altre diocesi anche limitrofe, non ha grandissimi elementi di diversità in quanto si presenta ancora come un territorio culturalmente abbastanza omogeneo. Non mancano chiaramente divergenze di opinioni legate soprattutto all’appartenenza a fasce d’età differenti, ma al tempo stesso c’è una significativa capacità di dialogo e condivisione. In realtà nella nostra diocesi manca la percezione della vera diversità, che può essere data ad esempio dal confronto con persone appartenenti a culture e religioni profondamente diverse dalla nostra. Ci sono sì dei casi, ma sporadici.

Ricordo che in uno dei suoi primissimi incontri con la stampa, descrisse Acireale come una cittadina “elegante, signorile, con un glorioso passato”. A distanza di tre anni riconferma quel giudizio? Con quali aggettivi descriverebbe ora Acireale?

Riconfermo pienamente gli aggettivi allora utilizzati e semmai ne aggiungerei un altro come ulteriore esplicitazione. Questo “glorioso passato” sembra veramente “passato”. Pur tuttavia intravvedo dei segni di rinascita, ma ci vorrà grande impegno da parte di più forze convergenti e per un tempo prolungato.

E’ noto anche il suo impegno a favore della cultura della legalità. Il decreto di privazione delle esequie ai condannati in via definitiva per reati di mafia ha suscitato grande accoglienza in larga parte dell’opinione pubblica ma anche qualche perplessità. Ripercorrerebbe esattamente gli stessi passi?

Il mio gesto non è stato un’improvvisazione, ma si è inserito in una cultura ormai ben radicata da decenni ed ho percepito effettivamente il sostegno della stampa e dell’opinione pubblica in generale. Certamente ripercorrerei sostanzialmente gli stessi passi, in quanto le perplessità sollevate da alcuni in realtà sono solo il risultato del fraintendimento di alcuni concetti chiave quali misericordia e giustizia, “legare e sciogliere” della Chiesa, valore del funerale come sacramentale e così via.

Che cosa maggiormente l’affascina del nuovo Papa?

Mi affascina la grande spigliatezza che ha nelle scelte, nelle parole, nel pensiero e negli atteggiamenti. È pur sempre un capo di stato, ma sa distaccarsi dai protocolli gestendoli senza farsi gestire da essi; suscitando spesso sorpresa. Ha un grande coraggio e con forza vuole dare scossoni prendendo di mira alcuni grandi difetti dell’animo umano appartenenti sia alla gente comune, sia ai cosiddetti potenti, che agli uomini di chiesa.

lo scenario internazionale che stiamo vivendo (terrorismo internazionale, persecuzione dei cristiani, crisi economica, raffreddamento dei rapporti tra Usa e Russia, dramma dell’immigrazione,…) genera spesso sfiducia e senso d’impotenza. Che cosa si sente di dire ai fedeli ed alla gente in generale? 

13 settembre 2014, Giarre: un momento festoso della manifestazione "Love revolution"
13 settembre 2014, Giarre: un momento festoso della manifestazione “Love revolution”

Non bisogna illudersi sul cammino della storia, la quale non è necessariamente, come tante volte ci è stato insegnato, una linea retta che procede progressivamente sempre verso un “più”. In realtà dobbiamo mettere in conto anche la possibilità dei segni “meno”, dei grossi passi indietro dati dalla ricomparsa di guerre, fame, sfiducia e pericoli. Ma il sapere che la storia non è scontata, che non andrà automaticamente verso un “più”, diventa motivo per stare con i piedi ben saldi per terra e sviluppare semmai un maggiore senso di responsabilità. Ai fedeli in particolare dico di rafforzare la propria fiducia in Gesù Cristo, che con il suo sacrificio ha salvato questa storia nonostante i propri mali e le proprie ambiguità. Quando si è vicini al baratro e quando si è perseguitati è messa a dura prova la nostra fiducia in Gesù che con la sua risurrezione si pone accanto a noi come salvatore; ma è proprio nella prova che fortifichiamo la nostra fede.

Lei è stato per tanti anni insegnate alla Facoltà Teologica di Sicilia di teologia spirituale. Come giudica la spiritualità del nostro tempo?

Attraversiamo un tempo di enormi cambiamenti in cui, a causa dei nuovi equilibri mondiali, è crollata quasi del tutto quella struttura socio-politico-culturale costruita con grande fatica nell’immediato dopoguerra. Tutto ciò non può non influire sulla spiritualità, sul modo di come cioè l’uomo d’oggi risponde al vangelo e percepisce il bisogno di Dio. Oggi, anche tra i fedeli, prevalgono spesso le paure e le insicurezze, ma per fortuna ci sono persone ben salde che, attingendo alla linfa della sana tradizione, sanno attraversare il tempo presente. Credo che in questo tempo la spiritualità sarà portata avanti da poche persone, piccoli gruppi che faranno da battistrada per l’uomo contemporaneo. Questi, come recita il salmo, “saranno come alberi piantati lungo corsi d’acqua le cui foglie non appassiranno mai”, in quanto capaci di nutrirsi della preghiera, dell’ascolto della Parola di Dio, dell’azione liturgica e dell’opera di alcuni grandi testimoni della fede, senza farsi abbindolare da mode o organizzazioni passeggere.

Tra i suoi molteplici impegni, ha trovato anche modo per pubblicare ultimamente tre libri: “L’infinito nel cuore”, “Il riposo nella fatica”, “La dolcezza del divino ospite”. La domanda è d’obbligo: quali saranno le prossime pubblicazioni?

Effettivamente sto lavorando ad alcune opere. La prima pubblicazione, che arriverà prima della fine dell’anno, ha per titolo “Nella malattia alla scuola dei santi”. Si tratta di un tascabile della collana “Seminando” di cui in verità mi sono occupato solo della stesura di un’ampia introduzione sul tema della sofferenza e del dolore dell’uomo. A seguire ci sarà per conto del “Cortile dei Gentili” un’altra opera divulgativa pubblicata da Donzelli editore sul tema diritto, giustizia, legalità ed etica. Infine, l’anno prossimo verrà alla luce un’opera molto corposa che sto curando per Città Nuova: un volume che raccoglie con apparato critico tutti gli scritti di San Francesco di Sales in merito alla costituzione dell’Ordine della Visitazione.

E per ultimo, a Lei la scelta d’indirizzare un messaggio ai fedeli della diocesi.

I fedeli non si lascino travolgere dal pugno di polvere che molte volte viene gettato davanti a i nostri occhi, ma stiano vicini ai propri pastori con grande fiducia poiché è possibile insieme costruire la casa sulla roccia, stando lontani dalle sabbie mobili delle chiacchiere, dei pettegolezzi e degli scandalismi. Con ritrovata fiducia andiamo avanti, portando ciascuno a termine il proprio compito e così vedremo diradarsi sempre più quelle nebbie che a volte sembrano ostacolare il nostro cammino.

Don Marco Catalano

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