Non solo Alzheimer. La demenza nelle sue diverse forme, le conseguenze sul malato, i vari approcci terapeutici, l’importanza dei tempi di intervento medico, soprattutto per identificare la causa della malattia. Ne abbiamo parlato con il prof. Liborio Rampello, neurologo e psichiatra, già primario di Neurofisiopatologia e docente di Neurologia all’Università di Catania.
Cosa si intende per demenza?
La demenza è una condizione di invecchiamento patologico del cervello, progressivo, irreversibile e, con il passare del tempo, estremamente invalidante.
Perché questo invecchiamento patologico?
Non è ancora ben chiara la causa di questa condizione patologica, anche se è ben accertata la modalità di insorgenza, caratterizzata, macroscopicamente da un rinsecchimento globale del cervello che perde progressivamente volume e acquisisce una superficie simile a quella delle noci sgusciate, mentre all’interno (microscopicamente) si arricchisce di placche di una proteina chiamata β-amiloide tra le cellule cerebrali e dei cosiddetti grovigli neurofibrillari all’interno di esse, quale espressione di anomala destrutturazione del citoscheletro.
Quale è la frequenza delle demenze?
Essa rappresenta l’aspetto negativo dell’avanzare degli anni; rara prima dei 60 anni, con l’aumento della vita media della popolazione nel mondo occidentale si assiste ad un progressivo incremento di casi simili fino ad interessare il 40% dei soggetti ultranovantenni.
Come ci si può difendere da tale grave malattia?
L’unica modalità utile in atto è quella di allertarsi il più precocemente possibile ai primi segni di compromissione della capacità cognitive tipicamente compromesse in tale malattia, condizione comunemente definita MCI (lieve deterioramento cognitivo) per cercare di individuare qualcuna delle cause ben note di deterioramento.
Molte persone si lamentano di smarrire oggetti o di non ricordare il nome di persone, debbono preoccuparsi e allarmarsi?
La presenza di qualche semplice disturbo di memoria cui lei si riferisce, non è motivo di allarme, può essere talora espressione di banali amnesie cui tutti possiamo andare incontro, talora più per disturbi dell’attenzione che per veri e proprie perdite di memoria; a dimenticare un nome o a smarrire qualcosa ci ritroviamo quasi tutti, ma quello che deve allertare è invece la compromissione di importanti prestazioni mentali, che non siano la semplice defaillance della memoria o il semplice smarrimento di qualche oggetto, bensì la perdita di funzioni ben più significative quale il riconoscimento di persone o di luoghi ben noti, la perdita di logica nei ragionamenti, la carente critica di eventi e narrazioni o la capacità di calcolo nella gestione del denaro, aspetti tipici della demenza primitiva o di Alzheimer.
Tutte le condizioni cui lei ha accennato sono espressione di “Malattia di Alzheimer”?
Tale malattia rappresenta circa il 65% dei casi, per cui un terzo circa dei deterioramenti cognitivi è costituito da forme potenzialmente trattabili e pertanto reversibili: il compito più importante del medico e, in particolare del neurologo, consiste nel conoscere e pertanto poter riconoscere tutti i casi di cosiddette demenze secondarie, conseguenti cioè a qualche causa nota che ne ha provocato l’insorgenza e che potrebbe essere potenzialmente trattabile (v. tabella 1).
Quali sono tali fattori causali di demenza secondaria?
Sono tanti e talora di non facile riconoscimento: per richiamare i più comuni ricordo le malattie da disturbi della circolazione cerebrale, alterazioni del ritmo cardiaco, alterazioni della coagulazione del sangue, carenze vitaminiche (come quella della Vit. B12, tipica delle diete restrittive), alterazioni ormonali come i disturbi della tiroide, conseguenze di encefaliti virali come quelle erpetiche, da Aids, da prioni (“malattia della mucca pazza”), da alterazioni della circolazione liquorale, da ematomi cerebrali (come dopo un trauma cranico o in corso di trattamenti anticoagulanti), da sviluppo di malattie tumorali, ma anche fattori più banali e frequenti quali l’abuso di alcol e di comuni farmaci utilizzati per la cura dell’insonnia e/o dell’ansia, malnutrizione, malassorbimento, uso di farmaci che nel tempo si rivelano tossici per il cervello.
Quindi non bisogna arrendersi anzitempo?
Tutt’altro: bisogna cercarli proprio tutti per restringere il più possibile la diagnosi di demenza primitiva di Alzheimer e così poter eventualmente intervenire su molti dei suddetti fattori causali per ripristinare, nei casi ovviamente reversibili, il benessere psichico compromesso.
E’ possibile prevenire la demenza di Alzheimer?
Come per tutte la malattie progressive o irreversibili, la partita vincente è la cosiddetta prevenzione primaria, quella che cioè mira a non far insorgere la malattia: tutta la letteratura scientifica nazionale ed internazionale è freneticamente impegnata per tale finalità e, al presente, viene diffusamente consigliato di tenere sotto controllo tutti i fattori di rischio chiamati in causa anche per prevenire le malattie cardio- e cerebrovascolari: ipertensione, diabete, iperlipidemie, obesità, inattività, disimpegno sociale, carenze alimentari, disfunzioni endocrine, cardiopatie, abuso di psicofarmaci, alcool e droghe varie.
Si tenga presente che esistono anche le cosiddette pseudodemenze, dovute ad alcune forme depressive, che in alcuni casi possono simulare una condizione demenziale: nei casi dubbi vale la pena di tentare, con gli opportuni accorgimenti e precauzioni, un approccio timoanalettico.
Dopo che la malattia sia esordita, come la si può contrastare?
Nonostante l’immensa mole di ricerche mirate a tale scopo, purtroppo non disponiamo, in atto, di terapie soddisfacenti (anticolinesterasici). Si può rallentarne il decorso con l’intensificazione di tutti i possibili stimoli per il cervello, visivi, uditivi, verbali, motori, emotivi. Il contesto familiare è pesantemente coinvolto ma è considerato molto prezioso ai fini del confort assistenziale.
Esistono strutture specializzate per il trattamento specifico di tale condizione clinica, ma purtroppo la malattia isola il paziente e lo rende refrattario alle nuove acquisizioni mentre progressivamente gli sottrae le informazioni lungamente immagazzinate nel corso della vita: è come se una botte piena avesse un buco nel fondo foriero di una perdita continua e, contestualmente, l’indisponibilità del foro superiore necessario per il rabbocco.
Quale messaggio si può inviare a chiunque voglia proteggersi dall’evenienza Alzheimer?
Per quanto riguarda le demenze secondarie, molte delle quali trattabili, occorre intervenire subito sul fattore causale, per esempio integrando con Vit. B12 nei casi di carenza accertata, trattando le disfunzioni tiroidee, sospendendo alcool, ansiolitici, farmaci con documentato effetto neurotossico, trattando ipertensione, diabete, iperlipidemie, obesità, inattività, disimpegno sociale.
E nel caso della demenza primitiva?
Volendo utilizzare la medesima metafora, sarebbe opportuno cercare di riempire la botte (cioè il nostro cervello) il più possibile, fintanto che si dispone di un canale di rifornimento, pare infatti che le persone più acculturate abbiano maggiore protezione contro la malattia, che comunque non risparmia alcuna categoria sociale. Un ottimo puntello per il contrasto alla malattia è anche l’apporto di una qualunque forma di attività fisica, costante e continua, in tutte le modalità, dalle più impregnate (palestre, piscine e centri motori) fino alle più semplici, quali passeggiate fuori ma anche dentro casa, per garantire un costante ed adeguato apporto energetico al cervello.
L’esercizio psico-fisico, coltivato con assiduità nel corso della nostra vita fin dalla giovinezza, rappresenta un valido viatico per la protezione del nostro benessere, con un occhio alla bilancia e l’altro all’apporto alimentare; tutti gli eccessi nell’uso di alcool, di apporto calorico e di sale, anche in giovane età, configurano un ruolo cumulativo nel tempo che, col passare degli anni, si traduce in inevitabili ricadute negative per la nostra salute: essa non è un regalo, ma una meritata conquista, fin da piccoli.
Maria Pia Risa