La famiglia Calcagno produce vino da ben quattro generazioni. Le loro viti, come ci spiega Giusy, si trovano sull’Etna, a Passopisciaro, suddivise tra le due contrade Arcuria e Feudo di mezzo. Giusy Calcagno è una giovane donna che, assieme al padre e allo zio, e fino a qualche giorno fa anche al nonno, ora scomparso, sta guidando l’azienda Calcagno in quel processo evolutivo che ha coinvolto tutte le vigne sull’Etna. Già, perché, secondo Giusy, il vino qui sull’Etna si è sempre fatto, ma la consapevolezza del suo valore adesso è ben altra rispetto a prima. L’abbiamo intervistata per conoscere la storia che lega la sua famiglia al vino.
– Da quanto tempo la vostra famiglia produce vino?
“Da quattro generazioni. Già il nonno di mio padre produceva vino. Mio nonno, anche lui, produceva vino, e non si trattava di un passatempo o di un’attività secondaria, lui viveva di questo”.
– Immagino che questo vino venisse venduto sfuso.
” Certo, all’epoca il vino veniva venduto sfuso da tutti, nessuno lo imbottigliava qui da noi sull’Etna, se non le grandi aziende”.
– E voi, quando avete iniziato a imbottigliare? e come siete arrivati a questa svolta?
“Abbiamo deciso di realizzare un certo numero di bottiglie di vino per partecipare alla manifestazione Contrade dell’Etna dove abbiamo avuto un successo che non immaginavamo. Inoltre siamo stati recensiti nella guida di vini dell’Espresso. Così abbiamo iniziato a fare sul serio, a capire le potenzialità del nostro vino”.
- E a quel punto cosa è successo?
“A quel punto abbiamo cercato e trovato un enologo, Alessandro Biancolin, che collabora tuttora con noi. Mi ricordo che quando ero piccola, durante la vendemmia, mio nonno ci invitava ad andare a raccogliere ogni singolo acino d’uva. Noi passavamo in rassegna vite per vite, affinché nulla andasse perso. Adesso è tutto diverso, il vino deve soddisfare certi criteri, non è solo una questione di resa, è principalmente una questione di qualità. Da mio nonno imparavo a raccogliere tutti i chicchi, ognuno di essi era prezioso per lui, pieno dei pensieri della giornata, oggi invece imparo che c’è un tempo per conservare ma anche uno per fare spazio,alleggerire, lasciare andare”.
– Cosa ti ricordi delle vendemmie con il nonno, invece?
“Me le ricordo come un momento magico. Era un vero e proprio rito. Quando si finiva, nel momento in cui tutto era stato fatto, mio nonno ci portava tra le viti, quasi a salutarle una ad una. Cose come questa restano dentro di noi, in sordina. Sicuramente all’epoca non avevo idea della loro eco futura, ma tutto ad un tratto ho iniziato a percepirle: l’amore per il territorio, per la mia famiglia, per l’Etna, tutte queste cose, che io ritrovo dentro il vino, mi hanno spinta ad appassionarmene sempre di più”.
– Capisco bene. Attualmente, quanti vini producete? e quante bottiglie?
“Si tratta di 5 vini: 3 rossi, 1 banco e 1 rosato. I tre rossi si chiamano : Arcuria, Feudo di mezzo e Nireddu, il bianco Ginestra e il rosato Arcuria Etna Rosato. In un primo momento realizzavamo 3000 bottiglie, adesso siamo arrivati a ben 25.000”.
– E quanti ettari possedete?
“Noi, abbiamo sempre avuto 3 ettari, tuttavia, nel tempo, abbiamo preso in affitto altri appezzamenti, fino ad arrivare a coltivare 6 ettari di vigna”.
– Queste 25.000 bottiglie, a quali mercati sono destinati: locale, nazionale, internazionale?
“In realtà sia locale, che nazionale ed estero. Esportiamo molto in Usa, Canada e Nord Europa e Giappone, ma anche in Italia vendiamo bene in diverse regioni, e naturalmente, nella nostra zona. Anche questo è stato un fenomeno culturale che ha preso piede dopo diverso tempo: valorizzare il territorio. Adesso nella maggior parte dei ristoranti si trovano un gran numero di vini locali, e in quota minore, tutti gli altri”.
– So che questi vini sono anche insigniti di numerosi riconoscimenti e che hanno avuto diverse recensioni positive da parte di svariati critici. Parlacene un po’.
“I nostri vini sono stati recensiti favorevolmente da critici come Robert Parker e Ian D’Agata e hanno vinto premi come: vino slow 2017, Feudo di Mezzo 2013; 5 stelle per vini di di Sicila, Arcuria 2013; e corona d’Oro per vini buoni d’Italia 2014, Carricante 2012. I riconoscimenti e le recensioni che Feudo, Arcuria e Carricante si portano dietro, si identificano con tutte le mani che lo hanno lavorato e tutte le persone che lo hanno raccontato, e con il paese di Passopisciaro, dove nascevano le “storie d’amuri chiu belle” e dove le cantine con le botti di castagno, facevano riposare il vino e i pensieri”.
– E per quanto riguarda il progetto di affinamento ad alta quota: come è stato possibile realizzarlo? su quali fondamenti si è basata la ricerca e che risultati ha prodotto?
“I vini sono stati affinati sull’Etna a quota 2850 metri, grazie ad un progetto sperimentale nato dalla collaborazione tra INGV e la cantina Calcagno.
Si tratta di un esperimento unico al mondo, che ha voluto legare il territorio dell’Etna con i vini che nascono da questa terra vulcanica. L’esperimento durato più di un anno, trae origini da alcune teorie esposte da Pasteur e poi riprese da vari studiosi. ‘E stata un’avventura impegnativa ma anche gratificante, perché in effetti ha dimostrato che l’alta quota può avere effetti positivi sul processo di affinamento del vino. Abbiamo trasportato le bottiglie ad un’altitudine alla quale non era mai stato affinato nessun vino e abbiamo lasciato che il tempo facesse la sua parte. Il tempo è un fattore fondamentale per il vino, in ogni senso. Innanzi tutto perché, prima. nella fase di realizzazione di un buon vino ci vuole un sacco di tempo e pazienza e dedizione, e in secondo luogo perché si cerca di ottenere un prodotto che si conservi al meglio il più a lungo possibile, in una sorta di “lotta contro il tempo”.
– Avete una vostra cantina?
“Sì, dal 2016 abbiamo una cantina tutta nostra. ‘E stato un investimento importante ma ne è valsa la pena. Il vino richiede grossi investimenti, non ci sono guadagni facili, ed è un lavoro continuo. Tuttavia se anche solo una piccola parte di quello che il vino rappresenta per noi, riuscisse ad arrivare a chi lo beve, per noi sarebbe una soddisfazione immensa”.
Annamaria Distefano