Nell’ambito del convegno “I culti femminili a Catania in età greca e romana: da Demetra a Iside”, organizzato dall’associazione Sicilia Antica-sezione di Catania, abbiamo incontrato la dott.ssa Maria Teresa Magro, archeologa, che ha approfondito la tematica.
Quali sono le testimonianze archeologiche del culto di Demetra a Catania?
Del tempio di Demetra citato da Cicerone si sconosceva l’esistenza. Fino al ritrovamento nel 1930 in piazza Nicolella a Catania, durante i lavori di sistemazione dell’edificio successivamente occupato dalla questura, di un rilievo con scena demetriaca, utilizzato come materiale di riempimento.
Nel rilievo in marmo pentelico, esposto al Museo Civico del Castello Ursino di Catania, sono raffigurate due dee, Demetra e Kore. La prima da sinistra indossa il peplo e solleva con la mano destra un lembo del manto compiendo l’azione dello “svelamento”. (La sposa che mostra il viso al marito dopo le nozze).
La seconda mostra un chitone e ha nella mano sinistra una lunga fiaccola che poggia a terra. A destra delle due figure, in basso, si apre una cavità circolare, interpretata come la rappresentazione del cratere dell’Etna motivata da una ricerca di ambientazione ai piedi del vulcano del mito del ratto di Kore. E che esso fosse stato appositamente realizzato per essere dedicato nel principale santuario cittadino, considerazioni rafforzate dall’accensione delle fiaccole sul vulcano.
Con il ritrovamento nel 1959 in piazza San Francesco della ricchissima stipe votiva, nel corso di alcuni lavori relativi all’interro di un condotto fognario tra la chiesa di san Francesco e la statua del cardinale Dusmet, ad una profondità di 2,80 metri, la pertinenza di Demetra e Kore era resa esplicita con il rinvenimento di statuette di offerenti di porcellino.
Nella città etnea ci sono santuari dedicati a Demetra?
Nel 2008 in occasione di alcuni interventi volti al consolidamento della “Badia piccola”, parte del complesso monastico delle suore benedettine, posto tra le attuali via dei Crociferi e via San Francesco di Assisi, furono condotte alcune operazioni di scavo che interessarono una piccola porzione del battuto stradale di via San Francesco di Assisi. Si tratta di una area di estremo interesse, limitrofa alla via dei Crociferi e alla Piazza San Francesco.
Oltre ad evidenziare monumentali riferibili a interventi di sistemazione e terrazzamento compatibili con la destinazione residenziale che l’area assunse, almeno dalla tarda età repubblicana, lo scavo ha restituito un ampio stilobate appartenente ad una struttura templare proprio sotto le fondazioni del convento.
E anche numerosi reperti di carattere votivo databili tra la metà del VI secolo a.C. fino al I-II sec. d.C.
Come mai nell’emblema di Catania, l’elefante, c’è un obelisco di origine egizia?
Lorenzo Bolano (fine XVI – inizi XVII secolo) descrive con numerosi particolari un arco antico in Catania, via Vittorio Emanuele II, di fronte all’attuale chiesa di S. Martino dei Bianchi. Questa testimonianza stimola la fantasia degli storiografi seicenteschi catanesi, che attribuiscono senza fondamento l’arco al console M. Claudio Marcello, conquistatore di Siracusa nel 212 a.C. .
In realtà alcuni lavori dei primi anni dell’Ottocento, hanno fatto rinvenire resti archeologici, in seguito identificati come podio templare. Documenti conservati negli archivi del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania hanno consentito di precisare e confermare tale ipotesi. Alcuni studiosi hanno pensato di attribuire le strutture ad un santuario di Iside, costruito tra la tarda età repubblicana. Dal tempio di Iside potrebbero provenire l’obelisco ed un fusto di colonna esposto al Museo del Castello Ursino.
Mirella Cannada