“Le pupiate di Garibaldi. E tante altre storie” è il ventiquattresimo libro di Giuseppe Lazzaro Danzuso, giornalista, scrittore, autore teatrale e regista catanese, che esordì nel 1976 come writer e conduttore di una trasmissione radiofonica Rai sullo spettacolo, diretta da Giuseppe Tornatore. Poi continuò ad esercitare la professione di giornalista ad Antenna Sicilia e infine all’Ansa, prima a Catania e poi a Roma dove fu tra i coordinatori della redazione televisiva dell’agenzia.
Innamorato della Sicilia, alla sua terra ha dedicato, oltre che libri, anche decine di documentari. Tra le opere più recenti, il film “Milena, la luna” e lo spettacolo teatrale “Miciu e Cirano sulla luna”. L’abbiamo incontrato per conoscere la genesi ed il contenuto di quest’ultima opera letteraria.
Il titolo incuriosisce ed è intrigante, cosa descrivi nel racconto sull’eroe dei due mondi?
La colossale operazione di comunicazione lanciata dalla massoneria britannica per far apparire l’Unità d’Italia esclusivamente come una rivolta del popolo del Sud nei confronti dei Borboni. Ma fu soprattutto la corruzione dei generali delle Due Sicilie a consentire la “passeggiata”, come la definisce ironicamente il procuratore della Repubblica partenopeo Nicola Gratteri, dei mille garibaldini sbarcati nella Marsala “Inglese” e arrivati a Napoli. E non scordiamo che in quella città il Generale fu scortato da Tore ‘e Criscienzo, camorrista capo delle guardie dopo la fuga dei Borboni.
Qual è il tuo punto di vista su Garibaldi?
Nel libro, che ha 254 pagine e altri 23 capitoli oltre a quello dedicato al Risorgimento, racconto come a determinarne il successo emotivo in Sicilia furono innanzitutto la promessa, ovviamente non mantenuta, di consegnare le terre ai contadini, e poi il fatto che il popolo vedesse in lui l’eroico Orlando paladino di quell’Opra de’ pupi che rappresentò il primo fenomeno culturale di massa siciliano. Senza i pupi, probabilmente, non ci sarebbe stata l’Unità d’Italia.
Se poi dobbiamo analizzare come Garibaldi divenne il “supereroe dei due mondi” basterà ricordare che a operare un deciso maquillage sul Generale, dopo la cattiva fama acquisita in Sudamerica, fu chiamato da Cavour, con il quale aveva un’amante in comune, nientemeno che Alessandro Dumas, il creatore dei Tre moschettieri. E l’operazione di comunicazione comprendeva il fatto che si spargessero voci di improbabili parentele con i Santi. Si disse, infatti, che essendo un Gari-baldi dovesse per forza essere parente della Rosalia Sini-baldi patrona di Palermo.
Recentemente il mito del generale del Risorgimento sembra che abbia perso quell’ aura di onnipotenza. Sei d’accordo con questa affermazione?
Tutte le leggende su Garibaldi e il Risorgimento sono alla base del “catechismo” sulla nascita dell’Italia Unita che viene ancora propinato a scuola ai nostri giovani senz’ombra di spirito critico. Ma basterebbe pensare ai “Fatti di Bronte”, definiti da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella sul Corriere una quindicina d’anni fa «simbolo del tradimento delle plebi meridionali». E poi alle carneficine dei cosiddetti briganti, masse di persone rimaste povere e pazze per lo spostamento delle attività economiche al Nord. Intanto si giustificava lo sterminio dei popoli del Sud con la diffusione sui giornali del nuovo Regno delle teorie sul meridionale-criminale-nato. Teorie partorite dal cosiddetto scienziato Cesare Lombroso, al quale è ancora intitolato a Torino un Museo degli orrori pieno di teschi di presunti briganti.
Insomma, grazie alla cosiddetta Unità, al Sud o emigravi, o morivi di fame. E, se cercavi di lottare per i tuoi diritti, venivi bollato come brigante. Per dare poi un’idea dell’enormità dei danni economici patiti dal Sud, basterà ricordare le leggi eversive che smontarono quell’apparato di welfare che erano i beni della Chiesa. La leva obbligatoria che affossò le famiglie contadine sottraendo braccia indispensabili al lavoro, ma anche altro. Andrea Camilleri ricordava come nel 1859 i telai in attività in Sicilia fossero 12.000. E cinque anni dopo soltanto 700, perché una serie di leggi aveva spostato la produzione a Biella.
In tutto questo, però, Garibaldi non aveva responsabilità: fu pupo e non puparo. Anzi, denunciò quel che avveniva. Otto anni dopo Marsala, in una lettera scrisse: «Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio».
C’è un filo conduttore che lega il racconto principale con le “Tante altre storie” del titolo?
C’è un filo conduttore che lega quel racconto alla realtà economica e sociale di oggi: l’Italia a due velocità. Per comprenderne le ragioni si passa, per esempio, da un magnifico film ricordato nel libro, “L’arte di arrangiarsi”, con la sceneggiatura di Vitaliano Brancati e la regia di Luigi Zampa, che descrive Catania – e l’Italia – a partire dal 1912 agli anni Sessanta. Poi ricordo come nel 1983, in 131 giorni l’Etna vomitò cento milioni di metri cubi di lava. E mentre qui si moriva di paura, in Veneto, apparvero sui muri scritte inumane: Forza Etna, A morte i terroni, Etna sei grande.
In quei mesi il Nord aveva ripreso a chiedere leggi che consentissero alle regioni ricche di drenare quote sempre più consistenti di denaro pubblico, levandolo a quegli scansafatiche dei meridionali. E la cosa non si è certo fermata, se pensiamo al meccanismo della spesa storica e all’Autonomia differenziata. Comunque sì, ci sono collegamenti anche con altri racconti: a cominciare da un ritratto di Franco Battiato con una citazione della sua “Povera Patria”. Il cantautore di Jonia, tra l’altro, nel 1985 s’era presentato sul palco di Saint Vincent vestito da Garibaldino cantando “Risveglio di primavera” che recita «Sotto il Regno delle Due Sicilie/I movimenti prevedibili/Delle truppe in finte battaglie». Denunciando anche lui che si era trattato di pupiate.
Il libro va letto, non raccontato
Il libro, comunque, è pieno di spunti: va letto, non raccontato. Per esempio, a proposito dell’indolenza dei meridionali, parlo di quel “risparmio cognitivo”, la capacità di girarsi dall’altra parte, che risponde al bisogno della mente umana di avere un controllo, sia pur apparente, sulla realtà. E di sfuggire così al senso di impotenza e di precarietà per fatti più grandi di noi. Così ho inserito anche un racconto sulla paura della jettatura, che ha tra i protagonisti l’erede di un personaggio pirandelliano. E non poteva mancare l’eterno derby Catania-Palermo, dal sesso degli arancini al rapimento di Francesco Procopio de’ Coltelli, che da Parigi fece conoscere il gelato all’Europa. Considerato nativo di Acitrezza, nel 2017 il Comune di Palermo se ne appropriò. E io lo immagino chiamato in Paradiso a chiarire la faccenda.
Hanno definito questo volumetto uno “strumento di svago impegnato”, puoi esplicitare questo concetto?
La definizione si riferisce al libretto per la scuola, diverso da “Le pupiate di Garibaldi. E tante altre storie”, che la Carthago Edizioni ha realizzato dedicandolo esclusivamente ai fatti che condussero all’Italia unita. Il fine è quello di indurre gli studenti siciliani a farsi delle domande, a sviluppare una coscienza critica. Da qui la definizione degli editori, Margherita Guglielmino e Giuseppe Pennisi, di “strumento di svago impegnato”, che, puntando sulla curiosità suscitata da certe vicende, si muta in mezzo d’informazione e formazione per i giovani. I quali, magari, incuriositi dalle “pupiate”, vorranno poi scoprire le “Tante altre storie”.
E non è escluso che, contagiati dalla meravigliosa malattia del leggere, si innamoreranno della propria terra. Come accadde a me, cinquant’anni fa, quando scoprii la Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane di Giuseppe Pitrè. E cominciai a scrivere e a descrivere il luogo fantastico in cui avevo avuto la fortuna di nascere.
Mirella Cannada