Letizia Franzone ha conseguito la licenza in teologia spirituale, collabora con “La Voce dell’Jonio” ed è l’autrice de “Il cammino della misericordia”, il saggio che incita l’uomo a riflettere e ad essere portatore di bellezza.
Perché hai scritto il saggio “Il Cammino della Misericordia”? Qual è il significato del titolo?
«Diversi anni fa, dato che la Parabola del padre misericordioso mi ha sempre entusiasmata, ho sentito l’esigenza di scrivere quello su cui mi faceva riflettere la stessa Parabola. Ho cominciato a scrivere senza avere una finalità. L’anno scorso, prima che uscisse la bolla di indizione e il Papa comunicava il Giubileo, ho pensato di ultimare questa riflessione per conto mio, però sentivo che poteva anche essere motivo di riflessione per altre persone. Quando è uscita la bolla di indizione, ho capito che dovevo terminare di scrivere questo piccolo saggio. Ho chiesto al direttore del giornale se poteva essere pubblicato, ho avuto risposta positiva e questo mi ha incentivata a completarlo.
Riguardo al titolo, penso che l’uomo è un pellegrino e la sua vita è un viaggio e, a prescindere se credente o no, cammina verso un fine, che per il credente è l’amore di Dio».
Di cosa tratta questo saggio?
« Si parla della figura del padre e del figlio. Il momento centrale della Parabola è quello della riconciliazione, del ritorno del figlio dal padre e l’abbraccio di misericordia. Importante l’attesa silenziosa del padre. Nella condizione del figlio si rispecchia quella dell’uomo di oggi che vive in questa distrazione dall’amore di Dio; importante il valore del silenzio, della preghiera. La finalità di questo piccolo saggio è quella di invitare l’uomo a ripensare alla sua origine, quale creatura del padre, a riscoprire la bellezza del creato, a trovare il tempo per pensare e per pensarsi».
Cosa pensi, a questo proposito, della società di oggi?
«Penso che è una società in cui c’è molta povertà materiale ma soprattutto morale e spirituale. L’esigenza di correre, la crisi, i vari problemi, sembrano riempire tutto il tempo. La tentazione di oggi è quella di cancellare la bellezza, intesa in maniera artistica, dell’ambiente, delle comunicazioni. Bisogna ritrovare il tempo per il silenzio, per stare con le persone care, per contemplare il paesaggio».
Perché ti ha colpito il dipinto di Rembrandt?
«Mi piace moltissimo perché rispecchia in maniera chiara la Parabola, la figura di questo padre anziano, quasi cieco, che appoggia le sue mani sulle spalle del figlio, logorato dal viaggio e dalla miseria. Il dipinto rispecchia l’amore misericordioso».
Perché hai deciso di studiare teologia?
«Ho iniziato a studiare teologia non giovanissima, avevo già alle spalle un’esperienza di vita spirituale. È stata la vita di preghiera, di primo approccio alla fede, che mi ha portata a conoscere sempre più questo Dio, di cui mi stavo sempre più innamorando».
Il ricordo più bello di questi anni?
«La discussione della tesi, in quel momento vengono in mente le esperienze vissute in facoltà e le riassumi in quell’arco di tempo: per me è stato così. Tutto il percorso è stato bello, con alcuni insegnanti mantengo tuttora dei rapporti di amicizia».
Graziella De Maria