Nei giorni scorsi, al cinema “Eden” della cosiddetta villa Belvedere di Acireale, è stato riproposto alla città il film documentario sul presidente Rino Nicolosi, scomparso quasi 25 anni fa, realizzato dal regista Marcello Trovato. Il film, con toni pacati ma incalzanti, narra le vicende del presidente e di come alcuni suoi uomini abbiano “liquidato” il più alto e capace esponente della politica siciliana, ancora prima che la malattia mettesse fine ai suoi giorni.
Regista Trovato, come è nata in lei l’idea di realizzare questo docufilm su Rino Nicolosi? Sicuramente non sarà un’idea nata dall’oggi al domani.
Questo lavoro viene fuori da un sogno che accarezzavo da tempo. Nasce soprattutto dai miei ricordi giovanili, quando, durante le campagne elettorali, per le strade di Acireale transitavano le auto che reclamizzavano la Democrazia Cristiana. Ricordo ancora la Seicento con la pubblicità dello Scudo Crociato, con l’altoparlante che, a tutta voce, diceva “Vota e fai votare Democrazia Cristiana”.
Penso che questa immagine faccia parte dei ricordi di tutti coloro che hanno vissuto quegli anni. Io, da ragazzino, associavo lo scudo crociato al simbolo delle Crociate. Pensavo che queste persone simboleggiassero i nuovi crociati che si proponevano alla politica per portare rinnovamento, sviluppo, lavoro.
Da questa idea è nato in me un costante rispetto per tutti coloro che si proponevano con questo schieramento come candidati alle elezioni. Conobbi Rino Nicolosi da giovane, quando lavoravo presso lo studio fotografico di Clemente Cucuccio; in lui traspariva un particolare senso di umanità; ma il Presidente appariva già alla vista anche come una persona autorevole. Non era, comunque, un cliente abituale dello studio fotografico, perché il suo impegno politico non gli permetteva di svolgere quelle cose comuni dei semplici cittadini.
Rino Nicolosi iniziò presto a fare politica?
Ancora prima della laurea in chimica, Rino si approccia alla politica. La sua formazione passa anche attraverso la Chiesa e la partecipazione a varie associazioni, come l’Azione Cattolica e gli scout; è stato fondatore dell’Aci (Automobil Club acese), frequenta il Cine club che nasce con Italo Spada. Una persona attiva in tutti gli ambiti che frequentava e anche in quelli cinematografici. Nel film citiamo questa sua passione e ci sono delle scene girate da lui, un lavoro amatoriale ma molto professionale scritto da lui con l’aiuto del dott. Giuseppe Contarino, valente giornalista e scrittore oltre che dirigente bancario. Comunque, il presidente Nicolosi era bravo, aveva delle grandi e diverse qualità.
Ma qual è stato il “preciso momento” in cui l’idea è divenuta progetto?
Ad un certo punto del mio percorso professionale, qualcuno mi propone di realizzare questo lavoro. Io avevo già da tempo covato questo progetto. Le due idee si sono così incontrate, non ero l’unico ad aver pensato a creare qualcosa su Rino Nicolosi. Accolgo la proposta e comincio a fare le prime ricerche, senza perdere tempo, visto che l’idea era dentro di me da tanto e non volevo finisse a qualcun altro. Mi rendo subito conto che non c’erano mai state ricerche su di lui, se non per screditarlo o per “giudicarlo”.
Comincio a cercare le persone che gli erano state vicine e le intervisto. Il primo in assoluto è stato il magistrato Sebastiano Ardita perché, leggendo il libro “Catania bene”, mi ero reso conto, per la prima volta, che questo magistrato sapeva aprire il cuore e manifestare i suoi sentimenti umani. Diventa, quindi, uomo nei confronti di un politico come il presidente, che dovette rispondere alla magistratura per chiarire delle scelte e delle decisioni che, come presidente della Regione, aveva dovuto prendere.
Nicolosi spiegò come delle azioni che, a prima vista, potevano sembrare non legali, come alcuni passaggi economici tra imprenditori e politica, lui le vedeva, come pure accade in altri Paesi europei, come un modo per dare forza alla politica locale. In Italia, però, il tutto veniva considerato come un fenomeno di tangenti. Ardita non disse che il ragionamento fosse giusto ma cercò di capire se il discorso di Nicolosi fosse reale, pulito oppure no.
Fu lo stesso Nicolosi a testimoniare di aver portato la decisione sugli appalti della Regione a Roma per potere uscire dalla stretta dei condizionamenti mafiosi. In questo modo le decisioni sarebbero state prese dal governo e, quindi, si sarebbero potute evitare le infiltrazioni mafiose.
Ma le interviste, che man mano ha concesso, lo hanno motivato o demotivato?
Io mi sono motivato e ho capito che, se fossi riuscito a trovare le persone giuste, avrei potuto riscattare la figura del nostro Presidente. Tra l’altro è stata un’occasione anche per me, perché ho fatto chiarezza su cose che, forse, la giovane età non mi faceva capire appieno nel momento in cui si svolgevano, anche se le dinamiche politiche sono in continua evoluzione.
A questo punto, a decisione presa, mi sono fatto carico di un impegno che sapevo non sarebbe stato facile. Man mano che portavo avanti il lavoro, venivano fuori cose nuove: non progetti ma tutte le cose che Rino aveva realizzato. Dovevo anche cercare di capire i meccanismi utilizzati affinché nel film fossero di facile comprensione per tutti. Nicolosi portò a termine leggi sulla protezione civile trent’anni fa, era lungimirante e moderno e non tutti accettavano queste sue capacità o forse non le capivano. I metodi di Rino erano avanti rispetto al periodo storico.
Secondo lei qual è stato il punto di forza di Rino Nicolosi?
Senza dubbio la sua famiglia e, in modo particolare, la moglie Mad. Per Rino Nicolosi hanno rappresentato un porto sicuro dove riprendersi e ritemprarsi dopo l’impegno in politica. La moglie, intelligente, riservata, mai protagonista, una che sapeva attendere anche vivendo momenti di solitudine, visto che l’impegno nella Cosa pubblica lo teneva lontano da Acireale. Importante anche il suo ruolo di madre, che cercava di tenere viva la figura di un padre che spesso era lontano e che, magari, i figli vedevano in televisione. Per lui stare in famiglia significava anche partecipare insieme alle celebrazioni eucaristiche a cui teneva molto.
Ma, oltre alla gestione difficile della Regione, quali altri problemi viveva Nicolosi?
I suoi problemi scaturivano dall’assedio continuo che subiva non tanto dagli esponenti dell’opposizione ma dal suo stesso partito nazionale che, praticamente, lo mise in grande difficoltà. Rino, sapendo di come le sue parole venissero pesate, controllava molto le sue espressioni senza, però, esimersi dal manifestare i suoi pensieri. Diceva, difendendo la sua Sicilia, che un finanziamento o un contributo per il Sud fosse considerato sempre un rischio mafioso. In un’altra parte del Paese o dell’Europa significava aiuto per lo sviluppo e per l’economia di quella società. Forse il suo più grande errore è stato quello di aver voluto cambiare il sistema dall’interno, forse doveva iniziare a livello nazionale per poi arrivare alle ramificazioni locali del partito. Anche Aldo Moro ci provò e finì in mano alle Brigate Rosse. Comunque sono questi gli stimoli che mi hanno portato non solo a fare questo progetto ma a portarlo a termine.
Quali sono stati i tempi lavorativi?
Abbiamo iniziato nel 2017, abbiamo realizzato un trailer per avere un’idea concreta. Avevamo anche scelto i modi in cui girare il documentario. Poi abbiamo fermato per un po’ i lavori perché nel 2018 c’è stata la film “Nove anni a Tientsin” anche se di fatto, io, continuavo a fare ricerche appena potevo. L’inizio vero e proprio potrebbe essere il 2018. Nel 2019 altro fermo perché porto “Nove anni a Tientsin” in Argentina. Nel 2020 la pandemia blocca tutto. Avevamo avuto delle promesse economiche da parte di alcuni acesi vicini alla politica, che però non sono state mai mantenute.
Nel 2021 avevo tutto il materiale raccolto assieme all’incertezza di poterlo far diventare quello che adesso conosciamo. In questo devo ringraziare ed essere grato a mia moglie Rossella perché, non solo non si è mai lamentata, ma mi ha sempre sostenuto e incoraggiato a continuare. Interrompere l’opera non sarebbe stato rispettoso né nei miei confronti né nei confronti di tutti quelli che mi avevano concesso le interviste. Lo stesso supporto l’ho ricevuto dal notaio Carlo Zimbone, testimone centrale nel docufilm. Il professionista catanese mi ha fatto capire che argomento centrale per Rino era stata la lotta contro la mafia. Il Presidente aveva avuto delle minacce per non presentarsi ad un convegno contro la mafia, ma lui andò lo stesso.
E qui nasce il personaggio “Madre Terra”, messo in pieno contrasto al personaggio “Mafia”…
Ho continuato questo lavoro proprio per voler dire delle verità; e, per chiarire meglio i concetti, ho creato questi due personaggi: Mafia e Madre Terra. La mafia l’avevo pensata come si vede, con il personaggio interpretato da Agostino Zumbo: sprezzante, baroccheggiante, con una maschera e un mantello che nasconde le sue sembianze e lo fa agire indisturbato. La Madre Terra, invece, vestita in modo semplice, con un abito di iuta che ricorda i colori della terra, la Sicilia, è stato interpretato da Rossella Caramma. Queste scene sono forti perché hanno il sapore onirico e assomigliano a quelle delle tragedie greche.
Inframmettiamo una domanda alla “Madre Terra”: Rossella Caramma, come ha vissuto questo insolito, forse unico, ruolo?
Non è semplice descrivere le sensazioni provate nell’assumere il ruolo di una terra antica, bellissima e martoriata. La Madre Terra resta in ombra, rispetto alla Mafia che invece è nitida, come figura, illuminata dal sole, ma è anche vero che avere posizionato Madre Terra su di un dirupo le dà, comunque, una posizione dominante sulla mafia. A parte il pathos, c’era anche un po’ di paura nello stare in bilico su quel burrone. Ho percepito il rischio ma il personaggio e il copione assegnatimi erano affascinanti e quindi ho accettato con entusiasmo. Ho seguito quello che è stata la visione del regista e mi sono immedesimata nel ruolo, dando corpo ed anima alla sua idea.
Torniamo a Marcello Trovato: fino a quando ha lavorato Rino Nicolosi prima di arrendersi al cancro?
Siamo riusciti a recuperare degli appunti scritti di suo pugno datati 13 settembre 1998. Lui è scomparso il 30 novembre, appena due mesi dopo. Sappiamo con certezza che lavorò e, quindi, combatté fino alla fine.
Perché la sua morte ad Acireale non fu così eclatante come sarebbe stato lecito aspettarsi?
Purtroppo, molte delle persone che avevano supportato Rino durante il suo lungo percorso politico, compresa l’ultima campagna elettorale, si rivelarono non suoi amici veri ma solo gente che, sulla sua persona, ci aveva scommesso e forse qualcuno ci aveva speculato. Tanti di loro che, in questi anni, incontrando la moglie e gli altri familiari, avevano preferito girarsi dall’altra parte, però sono venuti a vedere il docufilm e magari ad applaudire. Un fatto duro e amaro per la famiglia.
Nonostante molti di coloro che lo aiutavano nel suo lavoro fossero di Acireale, Rino è stato abbandonato anche da parecchi tra loro stessi che si erano portati avanti grazie a lui. Nell’ultimo periodo lottava con la magistratura, la Regione e la malattia; ed era duro per lui e la sua famiglia vedere che per strada molti suoi concittadini non lo salutavano più.
E sono molti, ancora oggi, gli acesi i quali ripetono che per la città non ha fatto nulla, dimenticando, costoro, anche gli aiuti personali di Rino nei confronti di tanta gente, ogni volta che poteva, sempre nella legalità.
Il nostro ospedale è opera sua, un fiore all’occhiello per la città che, finalmente, ha potuto abbandonare la struttura fatiscente di via Martinez e corso Savoia, ritrovandosi un ospedale all’avanguardia. Questa è l’amarezza di una politica che pretende spesso di far muovere i personaggi coinvolti come burattini o poi, se non rispondono alle attese e alle pretese, li fa fuori.
Come si è mosso nella scelta degli intervistati?
Ho cercato di intervistare personaggi costruttivi della storia di Rino Nicolosi. Non volevo che il film diventasse un processo post mortem; quindi, ho evitato alcune persone, che magari avrebbero voluto esserci. Così, anziché l’avvocato difensore ho intervistato il magistrato Sebastiano Ardita perché ho valutato umano il suo intervento, nonostante che un giudice resta fermo sulla sua posizione.
Mariella Di Mauro