Nell’aula magna del liceo scientifico Archimede di Acireale si è tenuto un Seminario sul conflitto siriano, rivolto alle classi quinte dell’istituto.
L’incontro organizzato dalla professoressa Paola Lizzio ha visto l’intervento della dottoressa Michela Lovato, coordinatrice e sostenitrice del progetto Santa Venerina abbraccia la Siria e volontaria di Operazione Colomba, corpi nonviolenti di pace.
In occasione dell’incontro è stata anche presentata la mostra fotografica” Akkar, vita e cronache dal confine siriano” di Luca Cilloni. Sarà possibile ammirarla fino al 4 febbraio nei locali del liceo scientifico.
Michela Lovato ci ha raccontato dei corridoi umanitari e della sua esperienza in Libano.
Michela, può raccontarci raccontarci anche del suo percorso di studi e di come lei si sia avvicinata alla scelta di volontariato con l’Operazione Colomba?
Ho studiato scienze per la pace e cooperazione internazionale all’università di Pisa in triennale, in magistrale a Torino con un percorso di studi dedicato ai conflitti internazionali.
Durante il tirocinio curriculare fatto in triennale, ho seguito dei corsi di formazione per Operazione Colomba, dove sono stata indirizzata nei progetti da seguire.
Può spiegarci cosa fa l’Operazione Colomba e cosa sono i corpi non violenti?
Operazione Colomba è un corpo non violento di pace che, quindi, interviene in maniera civile nelle zone di conflitto adoperando la non violenza, in zone dove vi sono conflitti in corso, ad alto rischio di violenza. Operazione Colomba cerca spazi di mediazione tra le parti coinvolte nel conflitto con pratiche non violente.
Come agite nella gestione dei corridoi umanitari?
Siamo presenti nei campi profughi a nord del Libano per fare da tramite tra la comunità siriana e le autorità libanesi. Il nostro ruolo è gestito dalla CEI, Chiesa Valdese e Comunità di Sant’Egidio. Ci viene chiesto nel pratico di accompagnare la rete di accoglienza e, soprattutto, dal Libano fino all’Italia.
Quando lei è nei campi profughi, qual è la sensazione nel rapportarsi e nel vivere la quotidianità di chi è senza più la propria terra?
Sicuramente è un’esperienza molto forte: abbiamo una tenda piantata a Teherebas, dove viviamo e stiamo in contatto diretto con persone che hanno vissuto e sofferto la guerra. Sono famiglie che cercano una via d’uscita dalla guerra. Per me è importante e formativo sentire la speranza di persone che si augurano un domani diverso.
Quanto per lei è importante raccontare oggi le guerre in una società nella quale sembrano essere realtà lontane?
Penso sia sempre necessario il racconto, in quanto è giusto condividere e raccontare. Viviamo in un mondo in cui siamo tutti tra noi interconnessi, dunque tutte le vicende ci riguardano e toccano: non siamo più lontani.
Giulia Bella