Personaggio molto noto della Chiesa acese e uomo di vasta cultura, eppure, a due lustri dalla sua scomparsa, a quasi 100 anni, don Sebastiano Musmeci stava quasi per essere dimenticato. Lo ha riportato all’attenzione della comunità diocesana di Acireale Salvatore Licciardello, già insegnante di lettere e ricercatore di storia locale. Lo abbiamo intervistato.
Corrisponde alla nostra impressione che mons. Musmeci rischiava di cadere nel facile dimenticatoio?
Acireale talora dimentica con una certa facilità acesi che, con intelligenza, hanno dato lustro alla città e un grande contributo al suo sviluppo socio-economico e culturale. È questa la motivazione sottesa alle ricerche su don Sebastiano Musmeci e alla pubblicazione di un libro, che vuole essere anche un riconoscimento e un ringraziamento ai tanti sacerdoti della Diocesi di Acireale che “spesso hanno portato sulle spalle il crocifisso della loro vita, spesa nella società e fedeli alla gerarchia”, come sottolinea nella presentazione il preside Alfonso Sciacca.
Come è nata l’idea di questo libro, dal titolo così lungo?
La prima parte del titolo “Con gli occhi di colomba” è tratta da una espressione di don Musmeci, mutuata dal Cantico dei Cantici e da San Gregorio di Nissa, per indicare gli occhi che vedono in maniera chiara e luminosa. Il sottotitolo vuole mettere subito in evidenza due qualità importanti dell’uomo e del sacerdote Musmeci: la vocazione e il discernimento manifestano l’intelligenza e la capacità di don Sebastiano di perseguire un progetto davvero particolare ed interessante per tutti noi, grandi e piccoli, progetto di grande umanità che copre la sua intera esistenza.
Possiamo parlare di una biografia? O come meglio si può definire?
Il libro lo possiamo considerare in primis come una biografia, ma esula dal campo strettamente biografico ed agiografico. C’è nella pubblicazione una ricerca ed un approfondimento nel campo storiografico che riguarda la vita di un uomo all’interno di una società, quella acese, ma con interessanti risvolti extraterritoriali. Don Musmeci, nato in una famiglia molto povera, vive ad Acireale i primi 35 anni della sua vita e a 24 anni è ordinato sacerdote. Dal Vescovo Russo è inviato a Roma a studiare Diritto Canonico e Musica; è nella capitale che, oltre ad acquisire rilevanti competenze giuridiche e musicali, ha una vasta formazione culturale di prim’ordine, direi di carattere enciclopedico, che poi espleterà nel suo ritorno ad Acireale, dal 1940, come parroco della chiesa di San Giuseppe e in seguito come predicatore, cultore di storia locale, come brillante conferenziere, scrittore e pubblicista.
Ha avuto collaborazione nella ricerca delle fonti e tra i parenti?
Sono stato spinto alla ricerca dal nipote Saro Sciuto, già sindaco di Acireale, che mi ha messo a disposizione documenti e foto del suo archivio e che mi hanno permesso di avere un quadro approfondito della personalità di don Musmeci. Altri amici e conoscenti sono intervenuti con una loro testimonianza e mi hanno aiutato a ricostruire in parte l’imponente biblioteca di don Sebastiano e le sue qualità di uomo e sacerdote.
Alla presentazione hanno partecipato, oltre a lei, in quattro. Quale è stato, di ciascuno, il contributo aggiuntivo al suo testo?
Il rettore della Basilica di San Sebastiano, don Vittorio Rocca, ha messo in luce alcuni aspetti di don Musmeci, la sua personalità poliedrica e spirituale. Il Vicario generale della Diocesi, don Giovanni Mammino, ha messo in risalto come, grazie a anche a questa ricerca “sia arrivato il tempo, di delineare, almeno per sommi capi, la figura-tipo del prete acese, evidenziando i tratti comuni e le varianti legate alle varie fasi della storia diocesana”. Ed ha evidenziato anche la capacità di don Musmeci nell’intuire e prevedere che oggi “i discorsi non bastano più, il quadrante dell’orologio della storia segna l’ora in cui non è solo questione di parlare del Cristo, quanto piuttosto di diventare Cristo, luogo della sua presenza e della sua parola”. Infine, il preside Alfonso Sciacca ha sottolineato l’importanza di don Musmeci nel campo sociale e culturale, ma soprattutto nell’aver formato quei giovani che hanno dato un grande contributo alla politica acese degli anni ’50-70 del ‘900. Il dott. Saro Sciuto ha ripercorso i momenti più interessanti della ricerca di documenti, foto e, sul filo della memoria, ha messo in risalto la profondità di pensiero dello zio Sebastiano nel contesto familiare.
Cosa ha scoperto di mons. Musmeci che non si sapesse?
Mi ha sorpreso in don Musmeci la sua capacità di parlare a tutti, piccoli e grandi, a persone semplici o culturalmente preparate. E soprattutto la sua grande spiritualità, che gli ha permesso di produrre in questo campo molte pubblicazioni, che erano il frutto dei suoi interventi per esercizi spirituali in varie parrocchie. Inoltre, alcune sue pubblicazioni, come “Geografia della pietà mariana” e la “Chiesa dei Miracoli”, sono importanti per la storia di Acireale.
In quale settore della sua molteplice attività mons. Musmeci ha inciso di più?
Ritengo che non si possano frammentare le attività di don Musmeci: è stato un sacerdote di notevole peso in campo pastorale e in quello sociale e politico. La solidarietà, il guardare agli altri e alle loro esigenze erano in lui qualità “naturali”; ad esse univa un alto senso di riflessione interiore e una tenace tensione spirituale; era un uomo aperto, dominante per fisicità ed ingegno, mistico, audace, realista. Infine, da non dimenticare, ha avuto una notevole formazione musicale, che lo portava ad animare cori, a suscitare attenzione in coloro che avevano la fortuna di ascoltarlo, mentre direttamente dagli spartiti commentava composizioni di grandi musicisti, come Wagner, Beethoven, Perosi, Bach, …
Ha potuto appurare da come è nato l’appellativo popolare di “Padreterno”?
Ad Acireale molti lo ricordano come il Padreterno. Tale appellativo è nato da un episodio “telefonico”: la Madre Superiora dell’Istituto Spirito Santo, telefonando a don Musmeci, si è qualificata come “Madre dello Spirito Santo; la risposta di don Musmeci è stata perentoria: “ed io sono il Padreterno”. L’ironia era una componente notevole del suo bagaglio umano! Tale appellativo resiste ancora ad Acireale.
Maria Pia Risa