«Emozione ed incredulità, l’attesa di pochi istanti per scoprire che chi mi ha telefonato era veramente Papa Francesco… Una lettera tra le tante indirizzate alla segreteria Vaticana, auspicavo solo che venisse letta…».
Don Pietro Antonio Ruggiero, arciprete di Gagliano Castelferrato, un piccolo paesino nell’impervio entroterra siculo, pronuncia queste parole riferendosi alla sua missiva a cui è seguita la telefonata di Papa Bergoglio.
Uno sfogo, una riflessione sull’esperito, su azioni condivise con la piccola comunità di Gagliano e con le sue istituzioni. L’urgenza di essere Chiesa, viva e presente per le persone, guida e conforto non da casa o restando seduti sul divano.
Un pastore che si prende cura delle suo gregge, che considera la salute un bene, ma non perde di vista la Persona nella sua interezza nel suo essere fisico e morale. Accorrere lì dove serve, diventare cameriere, autista diventare ciò che serve.
Intervistato, don Antonio non si sottrae al dialogo e ci guida così, lungo il filo delle sue riflessioni.
Conclusa la telefonata con Papa Francesco, quale consapevolezza si è fatta strada in lei?
La certezza della Sua grande vicinanza alle realtà periferiche, alle piccole comunità, come la mia. Questo mi ha fatto riflettere sull’intera attività pastorale ch’è e deve essere rivolta soprattutto alle piccole realtà.
Una modalità che nasconde scelte ben determinate da parte del pontefice, ovvero porre al centro di questa attività la persona, centro verso cui la Chiesa deve indirizzare la sua attenzione.
Come ha inteso il suo ruolo e come lo ha conciliato con la necessità imposta del distanziamento sociale?
Quando ho sentito “Restiamo a casa” ho pensato fosse giusto, per contenere la pandemia. Ma non era rivolto a me. Noi siamo pastori di persone, un ruolo che, la grande opinione, vorrebbe marginalizzare.
La possibilità di dedicarsi o meno all’attività spirituale è stata relegata alla dimensione del privato: pregare se e quando si può, perché Dio è con noi e questa relazione spirituale può essere curata anche nel proprio cuore, privatamente. Ma ciò cozza col concetto di ecclesia che significa convocazione.
L’azione spirituale non può essere limitata. Ci troviamo in quella che può essere definita una dittatura sanitaria riassumibile nell’espressione: “O la borsa o la vita”. Ma cosa c’è nella borsa?
Un abbraccio, un saluto, una stretta di mano, un conforto; se eliminiamo ogni bisogno interiore di relazionarsi e se tutto ciò è contenuto nella borsa, cosa ci resta?
Un dopo in cui ci guarderemo a partire da quest’esperienza con occhi diversi, di diffidenza: ci incontreremo e staremo lontani.
Non solo parroci e preti, un ruolo per ognuno, da affrontare per non farsi sopraffare e vedere l’umanità svanire.
Come valuteremo, ad esempio, l’episodio di un nipote che, per paura del contagio in ospedale, spinge lo zio a rimandare un controllo cardiologico.
Non lasciamo che tutto ciò diventi un modus operandi e pensandi. Non possiamo costruire una società disumana.
Allo stesso modo non è possibile una Chiesa virtuale perché, anche in questo caso, verrebbe meno il principio di ecclesia.
La fede è incarnazione, è Vangelo, è fatta di carne, o non è fede in Gesù.
Quel “non disturbate” che tante polemiche ha acceso lo si potrebbe tradurre in “ stiamo facendo cose importanti, per la fede c’è tempo…dopo”.
Un punto importante è emerso: questa dittatura di pensiero unico pretende di legiferare anche sulle norme liturgiche. Bisogna arrestarsi, fare un passo indietro. La politica nasce per gestire, per preservare non per delegare e rimettere ad altro, sia pur la scienza, ciò che il popolo gli ha affidato. Il politico non può abdicare delegando.
Cosa auspica per la Chiesa del domani, in tempi solcati da emergenze e pandemie?
Auspico che la Chiesa porti con sé questo vissuto e proceda avanti su tre binari, o meglio, ponendosi tre obiettivi: il primo è la necessità di un sussulto di spiritualità, non evanescenza ma fede pensata, basata su strumenti e modalità che essa possiede storicamente.
Il secondo obiettivo è la necessità di un sussulto di comunione. Durante questa pandemia con le forze dell’ordine e con l’amministrazione di Gagliano abbiamo operato in prima linea, valicando i confini del qui spetta a me e da lì ad altri, abbiamo operato in comunione.
Infine, la necessità di un sussulto di cultura. Come Chiesa abbiamo abdicato alla politica, in particolare alla formazione del politico, come avveniva in passato. Oggi mancano menti illuminate, come Giorgio La Pira, Aldo Moro, Giorgio Almirante o Enrico Berlinguer.
In molti, durante questa pandemia si son chiesti “quale fosse il senso” di molte scelte operate, dalla sanità all’economia, il progetto ultimo, costruito a partire da ogni singolo provvedimento.
Manca il senso, una visione ampia che dia significato alle decisioni, alle scelte.
Inoltre, come Chiesa abbiamo abdicato anche dalle università, relegati a insegnare solo nelle facoltà teologiche: preti che insegnano a preti. Non esiste più la commistione delle discipline e in pochi ormai, professano dalle cattedre la propria fede.
Ad esempio il referente OMS per l’Italia, Walter Ricciardi, è al contempo membro del comitato delle Scienze per la Vita. Rispetto all’emergenza sanitaria in corso, avrebbe dovuto avere una sensibilità diversa, fornirne una lettura diversa più ampia ed articolata, non limitarsi a dare indicazioni su come s’indossa una mascherina.
Come racconta il suo legame con la comunità di Gagliano Castelferrato?
Dopo sette anni insieme, la comunità gaglianese ha compreso che la Chiesa può occuparsi di tutto, non fare tutto, ma dedicarsi a tutto ciò che concerne l’uomo.
La battaglia che insieme ad alcuni amici, esponenti del settore sanitario, stiamo portando avanti riguarda l’affermazione di un principio riconosciuto ormai in ambito medico: il valore del rapporto umano, del rapporto interpersonale a supporto delle terapie mediche.
Nell’ articolo 32 della Costituzione italiana accanto alla “ tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” coesiste l’inviolabilità dei “limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Dove sono finiti i comitati etici? I concordati? Perché non si è permesso al cappellano di entrare nei reparti Covid, senza disturbare, in disparte ma presente per ogni spirito bisognoso.
Ci siamo trovati innanzi ad una Chiesa accondiscendente: per “non disturbare” e per “non fare polemiche”. La Chiesa è diventata Vangelo sine glossa. Ma, in tempi così difficile un buon pastore non abdica dal suo gregge.
L’intervista volge al termine e don Pietro Antonio Ruggiero ci lascia usando una metafora: come una scatola chiusa, dove ogni foro è stato ostruito, così l’umanità sta morendo soffocata, privata di quel soffio che n’è umana essenza.
E aggiunge: «Innanzi a ciò cosa può fare la Chiesa? …La Chiesa deve ritornare alla sua storia, a quello che l’ha resa tale, cioè il suo essere ponte verso il cielo pur camminando sulla terra ».
Vanessa Giunta