Continuando con la carrellata di interviste ai personaggi illustri che operarono ad Acireale, oggi abbiamo l’onore di ospitare il maestro Antonio Filocamo, pittore messinese che ha lavorato nei primi del ‘700 ad Acireale.
Bentrovato, maestro. Voi siete stato un pittore che insieme ai fratelli Paolo e Gaetano avete lavorato tantissimo dopo il terremoto dell’11 gennaio 1693, per la ricostruzione della Sicilia Orientale. Ci vuole raccontare com’è iniziata la sua carriera artistica?
Sono nato a Messina nel 1669, maggiore di tre fratelli. Ho iniziato la mia carriera artistica svolgendo un apprendistato nella città natale presso Filippo Tancredi. Successivamente mi sono trasferito a Roma con mio fratello Paolo per frequentare la scuola di Maratta. Nella capitale abbiamo avuto occasione di conoscere Giacinto Calandrucci, un pittore palermitano. Rientrato a Messina, la bottega che avevo aperto prima di partire, l’ho adibita ad Accademia del disegno e di studio del nudo dove tanti giovani hanno iniziato la carriera artistica, come Giovanni Tuccari e Letterio Paldino.
Sappiamo dai registri di conto conservati presso il fondo archivistico del capitolo della Cattedrale di Acireale che avete affrescato parte dell’edificio. Antonio Filocamo, si ricorda quel periodo di soggiorno acese?
Con i miei fratelli siamo stati chiamati dal Capitolo della Cattedrale di Acireale nel 1710-1711. Nel progetto commissionato dovevamo affrescare il presbiterio e la cappella della patrona, santa Venera. Con l’aiuto di Paolo, abbiamo affrescato la volta dell’abside con L’Assunzione della Vergine. Da solo ho lavorato alle pareti della cappella di Santa Venera con le scene de La predica di Santa Venera e Il martirio della Santa. Ricordo che Acireale, come tutte le altre città del litorale jonico, era in fermento. Si recuperavano gli edifici civili e sacri, se era possibile, se ne erigevano altri se troppo pericolanti.
Oltre ad Acireale, insieme ai suoi fratelli, avete avuto modo di girare la Sicilia in lungo e in largo per decorare chiese e palazzi patrizi. Secondo voi, quali sono le opere che reputate più importanti della vostra attività?
Ho notato, passando dalla Pinacoteca Zelantea, che si conserva una delle opere più belle che ho realizzato, Il sacrificio di Isacco, che riporta la mia firma e la data, 1712. È sempre stato uno dei temi più richiesti dai committenti religiosi per il messaggio cristiano di obbedienza che si cela nel cruento episodio. L’angelo che si fionda dal cielo per bloccare la mano di Abramo prima di commettere il parricidio mi è venuto davvero bene!
Ho notato inoltre che nella Pinacoteca si conserva anche il disegno preparatorio de Il martirio della santa, di cui le ho accennato prima, mostrato ai Canonici per l’approvazione del lavoro. Come non ricordare la prima opera da me realizzata, credo che non potrò mai dimenticarla. Mi rimarrà impressa per sempre nella memoria, è un’incisione da me firmata, Allegoria della dedizione e dell’esultanza di Messina per l’acclamazione di Filippo V re di Spagna, posta nell’antiporta del volume celebrativo di Sclavo Amore ed ossequio di Messina in solennizzare l’acclamazione di Filippo Quinto di Borbone del 1701.
Antonio Filocamo, se voleste sintetizzare il vostro stile artistico, cosa direste dopo tre secoli?
Sono sempre stato bravo all’arte della composizione, mentre a Paolo riuscivano bene le prospettive e le parti ornamentali. Gaetano non ha mai creato un proprio stile, era più un aiutante che un artista nel vero senso del termine. Io e Paolo siamo stati influenzati dallo stile marattiano. Carlo è riuscito a conciliare il contrasto tra classicismo e barocco: è partito dal classicismo di Raffaello per accogliere gli elementi di un barocco privo di eccessi.
Marcello Proietto