Agli acesi farà molto piacere avere tra noi il prossimo ospite, Lionardo Vigo (1799-1879), poeta, filologo e politico italiano.
Bentrovato Lionardo Vigo. Noi acesi siamo grati di aver avuto un concittadino, fine letterato e uno dei maggiori studiosi delle tradizioni e dei costumi popolari. Cristoforo Cosentini, presidente dell’Accademia degli Zelanti e dei Dafnici, nel primo centenario della vostra morte, vi definisce “indomito, sdegnoso e mangiapreti”. Ci volete parlare della vostra famiglia e della vostra tribolata formazione scolastica?
Sono nato ad Acireale il 24 settembre 1799 da Pasquale e Ignazia Calanna. Il mio bisavolo, Lorenzo, era barone; i Vigo provengono dalla Liguria. A tre anni sono rimasto orfano di madre. Non ero ben visto dagli zii paterni, dicevano ai parenti che ero discolo, bugiardo e insubordinato. Questo perché volevano favorire il nipote Narduzzu, il senatore Leonardo Vigo Fuccio. A nove anni sono stato chiuso all’Oratorio dei Padri Filippini di Acireale. Mi rifiutavo di ubbidire ai “padri puzzolenti”, come li ho definiti in alcune lettere. Nel 1811 mi hanno mandato al Collegio Cutelli di Catania. Anche qui non mi sono trovato bene, mi chiamavano “l’acitano” disprezzato dai catanesi. Dopo due anni sono entrato nel Collegio Calasanzio di Messina dove finalmente ho trovato un ambiente accogliente e favorevole per lo studio.
Nel 1816, a 17 anni, ritornate ad Acireale. Come trovate la vostra città natale e come prosegue la vostra carriera di studioso?
Quando sono ritornato ad Acireale ho trovato una cittadina imbarbarita, lussuriosa e sfaccendata. Nel 1822 ho conseguito la laurea in Giurisprudenza a Catania. Ho iniziato a viaggiare in Italia, ho visitato le maggiori città come Palermo, Napoli, Roma, Firenze e Torino. Grazie a questi viaggi ho stretto amicizie con esponenti del pensiero e della letteratura nazionale, come Mamiani, Guerrazzi, Lambruschini.
Lionardo Vigo, avete scritto opere sulla storia di Acireale e avete intrapreso delle impegnative iniziative a carattere culturale e sociale.
Nel 1836, dopo intense ricerche in archivio e conduzioni di nuovi scavi archeologici, ho pubblicato una storia minuziosa di Acireale, Memorie storiche della città di Acireale. Come ispettore degli studi ho contribuito all’istituzione del pubblico ginnasio e delle scuole tecniche. Nel 1861 ho chiesto l’istituzione del Tribunale in Acireale, il porto nella vicina Capomulini, la restituzione della bandiera e della spada che Catania aveva donato alla nostra città nel 1849, in segno di concordia e di gratitudine, sottratte dai soldati borbonici del Filangeri.
Nel 1861 sono riuscito a recuperare la spada a Napoli, ma non ho trovato la bandiera, perché Francesco II l’aveva portata con sé quando è fuggito per Gaeta. Adesso la bandiera si trova esposta all’interno dei locali della Pinacoteca e la spada è stata posta ai piedi del simulacro argenteo di santa Venera. Quando mi sono recato alla Biblioteca Zelantea, oltre ad ammirare la bandiera esposta, ho scoperto che La Protostasi sicula o genesi della civiltà, una mia opera inedita è stata pubblicata postuma nel 2017, dal curatore Giacomo Girardi.
Come socio e segretario generale dell’Accademia, tentate di far rinascere i due antichi sodalizi, la Zelantea e la Dafnica.
Il 1833 è stato l’anno della ricostruzione dell’organismo culturale con la collaborazione di dodici concittadini. La crisi è scaturita perché ad Acireale si crea un’altra Accademia, quella dei Geniali. Ho fatto conoscere le due istituzioni a uomini illustri come i fratelli Amari, Crispi, D’Azeglio, De Spuches, Pitrè, Malvica, e tanti altri ancora. Li invitavo ad Acireale, prima che si recassero a Catania o a Messina.
Parliamo del vostro cospicuo epistolario pubblicato da Gaetano Gravagno nel 1977 Indici dell’epistolario di Lionardo Vigo conservato nella Biblioteca Zelantea di Acireale, che custodisce più di oltre 9.000 lettere. Supera il numero di lettere del carteggio della famiglia Pennisi di Santa Margherita, da me riordinato, composto da 5.460 pezzi. Mi vorrei soffermare sulla corrispondenza col duca di Serradifalco, Domenico Antonio Lo Faso Pietrasanta, da me studiata e pubblicata in un articolo su Memorie e Rendiconti dell’Accademia.
Credo che si conservino soltanto 13 lettere a firma del duca, ricevute tra il 1834 e il 1847. Domenico in calce alle epistole scriveva “Amatissimo amico” e “Pregiatissimo amico”, o “Servitore ed amico vostro”. Come ha potuto leggere, gli argomenti delle lettere riguardano specialmente questioni di politica nazionale, economico-finanziaria della Sicilia e in particolare della mia Acireale. Non si parlava molto delle nostre vite private. Solo una volta, ricordo, il duca mi ha manifestato una preoccupazione, quando nel 1837 si diffonde l’epidemia di peste a Palermo e ha paura che sua figlia Giuditta possa ammalarsi.
Marcello Proietto