William Moore è un uomo alto e possente. È nero, porta una sciarpetta annodata sulla camicia, ha gli occhi scurissimi e lucidi. Ha una voce profonda, il suo americano è incredibilmente addomesticato, a prova di interpreti e giornalisti. Parla creando ampie onde con le mani. Con quelle stesse mani, 37 anni fa, William Moore ha ucciso un uomo, e per questa ragione il 30 novembre scorso è stato ospite del Liceo scientifico “Leonardo” di Giarre. In occasione della giornata contro la pena di morte “Città per la vita 2011” organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio con eventi in tutta Italia, Moore ha raccontato ai ragazzi la sua storia di ex condannato a morte salvato dalla fede e dal perdono. William, 59 anni, ne ha trascorsi 17 anni nel braccio della morte della Georgia per aver ucciso Fred Stapleton il 4 aprile 1974. Aveva solo ventidue anni all’epoca del delitto, avvenuto, involontariamente, durante una rapina. Reo confesso, Moore, dopo un processo-lampo, fu condannato alla sedia elettrica. Nel frattempo, bloccata la sentenza da parte della Corte Suprema, con la moratoria che sarebbe durata fino al 1976, Moore iniziò a difendersi da solo. Studiò legge e teologia, formando un gruppo di studio sulla Bibbia diventando un sostegno per tutti i suoi compagni detenuti. Chiese perdono ai famigliari della sua vittima, che glielo accordarono, invitandolo poi a volgere la sua vita al bene e ad utilizzarla per aiutare altri. Poi, arrivò il giorno della fine, ma sole sette ore prima dell’orario stabilito, l’esecuzione venne sospesa. Anche e soprattutto grazie all’intervento di Madre Teresa di Calcutta, la sentenza di morte fu commutata in anni di carcere, fino alla liberazione, nel 1991. Da allora, William Moore è un testimone della Comunità di Sant’Egidio, e racconta la sua vita ai giovani delle scuole.
-Perché per lei è così importante incontrare la gente?
“Aiutare la gente a cambiare è la mia missione. È importante soprattutto in America, dove la gente pensa che cambiare è impossibile”.
– Domanda da un milione di dollari. Riesce a fare un bilancio della sua vita?
“Non dimentico mai quello che ho fatto. Me lo porto sempre dietro, ma proprio per questo lotto contro la pena di morte e mostro ai giovani l’importanza di fare scelte giuste. La mia vita oggi è molto meglio di prima, posso incontrare i giovani e parlare, anche ai miei studenti di legge della comunità cristiana in Georgia. Così conosco la i problemi e raggiungo i ragazzi. Ho il dovere di restituire ciò che ho avuto e lo faccio aiutando i giovani ad essere migliori.”
-Cosa impara dai ragazzi?
“C’è una grande varietà, ma alla fine le persone, gli uomini, sono tutti uguali, siamo tutti uguali. Ciò di cui abbiamo bisogno è l’amore, e il perdono. I giovani spesso non capiscono cosa significhi perdono. È una grazia, per me, parlare e vedere la luce nei loro occhi quando capiscono cosa è il perdono. La gente pensa che se perdoni qualcosa, lasci correre via quello che è stato fatto. Ma non è che lasci andare, il perdono lascia libero te, anche dal solo fatto che ti innervosisci quando incontri qualcuno che ti ha fatto qualcosa. Se lo perdoni, sei libero e sereno, perché il perdono è forza, libertà”.
-Senza la fede, pensa che ce l’avrebbe fatta?
“La fede è la parte centrale della mia vita. Senza fede in Dio, io non sarei nulla”.
-Si sente riscattato? “Mi sento libero”.
-Tre parole chiave da tenere a mente? “Amore, perdono, libertà”.