Sono soprattutto i giovani “millennials” dai 18 ai 34 anni ad emigrare, freschi di studi e molto specializzati, delusi da una Italia che offre loro poche speranze lavorative. E’ boom anche di anziani che trascorrono la terza età all’estero, con un aumento di pensioni pagate in Ucraina (+307%), Bulgaria (+223,6%), Romania (+152,8), Polonia (+152,8%). Emerge poi il nuovo fenomeno dei “nuovi” italiani in partenza, come i bangladesi, migranti due volte.
Sono 107.529 gli italiani emigrati all’estero nel 2015: continua il trend in aumento, con 6.232 partenze in più. Il 69,2% (quasi 75mila italiani) si è trasferito in altri Paesi europei. In totale al 1° gennaio 2016 sono 4.811.163 gli italiani iscritti all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero), il 7,9% della popolazione complessiva (60.665.551), con una crescita del 3,7% rispetto allo scorso anno. Nell’arco di dieci anni (2006-2016), la mobilità degli italiani è aumentata del 54,9% (erano 3 milioni nel 2006). Negli ultimi 11 anni le variazioni più significative hanno riguardato la Spagna (+155,2%) il Brasile (+151,2%). Sono soprattutto i giovani “millennials” dai 18 ai 34 anni ad emigrare, freschi di studi e molto specializzati, delusi da una Italia che offre loro poche speranze lavorative. Pur concependo la mobilità come un percorso non determinato a priori, che cambia a seconda delle opportunità incontrate all’estero, per loro la scelta non è tanto “se partire” quanto piuttosto “se restare”. E’ boom anche di anziani che preferiscono trascorrere la terza età all’estero, con un aumento di pensioni pagate in Bulgaria, Ucraina, Romania, Polonia e Spagna. Emerge poi il fenomeno dei “nuovi” italiani in partenza, come i bangladesi, migranti due volte: almeno 5mila famiglie, dopo dieci anni in Italia, si sono spostati verso il Regno Unito per lavorare. Sono alcuni dei dati più significativi che emergono dal Rapporto italiani nel mondo 2016 della Fondazione Migrantes, presentato oggi a Roma. Secondo Migrantes
il grave problema dell’Italia di oggi è il “brain exchange”,
ossia l’incapacità di trattenere i talenti e di attrarne di nuovi. Bisognerebbe passare dal “brain exchange” al “brain circulation”, con un equilibrio tra partenze e rientri, evitando che i giovani più preparati vadano solo in alcuni Paesi e non in altri: “La mobilità è una risorsa ma diventa dannosa se è a senso unico”.
Dove sono e chi sono oggi gli emigrati italiani? Oltre la metà (2.588.764, 53,8%) vivono in Europa, seguita dall’America Latina (1.564.895), dall’America del Nord (386.399), dall’Oceania (146.316), dall’Africa (63.870) e dall’Asia (60.919). Gli aumenti più consistenti sono in Argentina (+28.982), Brasile (+20.427), Regno Unito (+18.706), Germania (+18.674), Svizzera (+14.496). La metà sono di origine meridionale, anche le se percentuali più alte a livello regionale vedono la Lombardia (+6,5%), la Valle d’Aosta (+6,3%), l’Emilia Romagna (+6%) e il Veneto (+5,7%) ai primi posti.
Roma è la provincia con più italiani all’estero, ma le altre città in pole position sono tutte del Sud (Cosenza, Agrigento, Salerno, Napoli). Tre piccoli comuni siciliani (Licata, Palma di Montechiaro e Favara) hanno incidenze elevatissime di residenti all’estero, tra 10 e 15 mila ciascuno.
107mila nuovi emigranti. Il percorso dei “millennials”. Gli italiani, giovani e meno giovani, guardano sempre più all’estero per soddisfare i propri desideri lavorativi, in particolare in Europa. Il 60,2% dei 107.529 andati all’estero nel 2015 sono single. Gli uomini sono la maggioranza (60.372). Il 36,7% sono nella fascia d’età tra i 18 e i 34 anni. I nuovi emigranti partono soprattutto da Lombardia (20.088), Veneto (10.374), Sicilia (9.823), Lazio (8.436). Nel 2013 c’è stata una diminuzione delle partenze degli studenti Erasmus a causa della crisi: molte famiglie non avevano risorse da investire per gli studi dei figli. I “millennials” sono “la generazione più penalizzata dal punto di vista delle possibilità lavorative” e vedono l’emigrazione “non tanto come una fuga quanto piuttosto come un mezzo per soddisfare ambizioni e nutrire curiosità: la loro mobilità oggi è in itinere e può modificarsi continuamente, perchè non si basa su un progetto migratorio già determinato ma su continue e sempre nuove opportunità incontrate”. Del resto, come ricorda il rapporto, recenti studi sulle mutazioni genetiche ipotizzano che il desiderio di viaggiare e fare esperienze nuove sia dovuto al Dna, nello specifico risieda nel gene DRD4-7R. Ecco perché molti degli attuali migranti non riescono a concepirsi come tali “ma parlano di sé come di viaggiatori”.
Anziani in movimento. Anche gli anziani che decidono di emigrare sono in aumento. Dai dati Inps sulle pensioni pagate all’estero, si evidenzia la crescita dei pagamenti in Ucraina (+307%), Bulgaria (+223,6%), Romania (+152,8), Polonia (+152,8%) e Spagna (+22%). Presumibilmente perchè molti decidono di trascorrere l’ultima fase della propria vita in casa delle badanti che, dopo averli assistiti in Italia, rientrano nei rispettivi Paesi con l’anziano al seguito. Le mete preferite nel 2015 dai pensionati italiani e stranieri sono state però Svizzera (583), Francia (495), Spagna (418), Australia (373).
Il futuro? Una cittadinanza senza confini. “L’idea da maturare – suggerisce il rapporto – è il passaggio a una nuova civilizzazione in cui il meticciato non significa tradire la propria origine ma arricchirsi delle opportunità date dal mondo e dalle innumerevoli culture che lo abitano”. Vale a dire, è possibile vivere ovunque mantenendo la propria identità e sentendosi, al tempo stesso, cittadini del mondo. “E’ questo il senso di una cittadinanza che non ha confini”. I migranti italiani si sentono dunque “portatori sani” di italianità attraverso “il gusto, la lingua, il business, la sensibilità artistica, la moda, il design, la pittura, la narrativa”.
Patrizia Caiffa