La Chiesa che soffre / Il cardinal D’Rozario: “La comunità cristiana bengalese non verrà meno alla propria missione”, nonostante povertà e terrorismo

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“Voglio anzitutto rendere omaggio ai fratelli e alle sorelle che hanno perso la vita per mano dei jihadisti a Dacca il 1° luglio 2016, comprese le vittime italiane, fra le quali vi era anche Simona Monti”. Inizia così – informa una nota stampa – la conversazione fra ACS-Italia e il cardinal Patrick D’Rozario, arcivescovo di Dacca (Bangladesh). Il porporato parla della condizione delle minoranze e della minaccia terroristica nel giorno in cui viene consacrata ed inaugurata la chiesa di San Michele ad Harintana, piccola cittadina appartenente alla diocesi di Khulna.
La chiesa, la cui prima pietra è stata posta lo scorso 27 settembre, è stata costruita grazie alle donazioni della Famiglia Monti e di molti altri benefattori ACS, i quali hanno così risposto cristianamente al terrore seminato dall’estremismo islamico. Il dignitoso comportamento dei familiari delle vittime italiane, compresi i congiunti di Simona Monti, è stato commentato due giorni fa da Papa Francesco il quale, ricevendoli in udienza privata, ha sottolineato che non sono rimasti prigionieri della rabbia, dell’amarezza e del desiderio di vendetta; al contrario hanno percorso, nonostante il dolore, la strada dell’amore costruttivo per aiutare la gente del Bangladesh.
Abbiamo chiesto al card. D’Rozario quanto sia importante costruire una chiesa in una nazione con lo 0,5% di cristiani. “Non importa quanto sia piccola la comunità cristiana, ha certamente bisogno di un luogo di culto. Edificare una chiesa, o meglio una semplice cappella se confrontata con le chiese europee, garantirà ai fedeli un senso di identità e incrementerà il loro senso di appartenenza. La maggior parte degli edifici di culto nelle aree rurali sono inoltre utilizzati come scuole elementari.”.
Il porporato – informa la nota stampa di “Acs Italia” – ha proseguito soffermandosi sulle condizioni della piccola comunità cristiana bengalese. “I cristiani in generale, e le popolazioni tribali in particolare (più del 50% del totale dei fedeli della nazione), vivono nella povertà estrema. Il sostegno della comunità cristiana occidentale sarà molto apprezzato”.
Diverse possono essere le aree di intervento: “Abbiamo bisogno di sacerdoti e religiose, in particolare docenti qualificati per formare i seminaristi nel seminario maggiore. Molte scuole di villaggio gestite dalla Chiesa hanno inoltre bisogno di abiti, cancelleria e del necessario per sostenere i costi dei servizi agli studenti, nonché di stipendi per i docenti. Molte parrocchie amministrano pensioni e ostelli, i quali rappresentano il mezzo migliore, in alcuni casi l’unico possibile, per offrire agli studenti cristiani più poveri la possibilità di istruirsi. Ma tale gestione richiede veramente molto denaro”.
C’è poi il problema sanitario. “Le malattie epidemiche sono ancora molto comuni nelle remote aree rurali del Bangladesh. La cura per le donne incinte e per i neonati è sempre stata una priorità fra le attività della Chiesa cattolica in Bangladesh, e dobbiamo cercare fondi per amministrare reparti maternità e ambulatori.”. Non bisogna dimenticare poi che “quasi ogni anno il Bangladesh è colpito da calamità naturali, e molti cristiani già colpiti dalla povertà perdono la casa.”.
Uno delle minacce più insidiose è tuttavia l’estremismo islamico. Basti pensare che negli ultimi due anni Al Qaeda e il sedicente Stato Islamico hanno rivendicato la responsabilità per l’uccisione di decine di persone. “La Chiesa – commenta il porporato – prega per la conversione dei responsabili di questi crimini”, di cui sono vittime non solo i cristiani, ma anche “alcuni induisti e buddisti. Sono stati presi di mira anche musulmani liberali, e alcuni di essi sono stati uccisi da questi poteri politico-religiosi. Il governo è consapevole della necessità di garantire sicurezza alle minoranze.”.
Ma nonostante queste molteplici difficoltà e minacce, conclude l’Arcivescovo, “la comunità cristiana bengalese non verrà meno alla propria missione”.

 

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