È a Torino il Papa in questa penultima domenica di giugno e le parole della liturgia si sposano bene con quelle che Francesco pronuncia nei suoi discorsi nel capoluogo piemontese. Se il Vangelo ci parla di Gesù come di colui che “riduce la tempesta al silenzio e fa tacere i flutti del mare” come si legge nel Salmo, il Papa propone la parola coraggio come chiave di lettura del nostro essere capaci di superare le difficoltà e le sofferenze proprio perché credenti in Cristo. Quante volte abbiamo paura, quante volte i problemi della vita si fanno così grandi e sembrano sommergerci come le acque impetuose di un mare in burrasca! Quante volte abbiamo la sensazione che Signore non ci sia vicino, non pensi a noi, non ci aiuti, ci lasci schiacciare da certi fatti o certe situazioni”.
Come gli apostoli che, preoccupati della tempesta, si rivolgono al figlio di Dio dicendogli ci hai dimenticati, così noi ci sentiamo schiacciati dai nostri problemi o difetti, dalle nostre tentazioni o problemi. Nell’omelia pronunciata a Torino in piazza Vittorio Veneto, Francesco ci ricorda che Gesù “ci ama sempre, sino alla fine, senza limiti e senza misura” e la sua fedeltà verso di noi “non si arrende nemmeno davanti alla nostra infedeltà”. Gesù rimane fedele anche quando abbiamo sbagliato “e ci aspetta per perdonarci”.
Torino è viaggio per pregare davanti all’uomo della Sindone, le cui ferite richiamano quelle di tanti crocifissi dei nostri giorni, come le donne e gli uomini che lasciano le loro terre costretti da guerre, violenze e miserie e affrontano l’incertezza di un viaggio verso un futuro che loro sperano migliore: i migranti, dice Francesco, non vanno colpevolizzati “perché essi sono vittime dell’inequità, di questa economia che scarta”. E quasi continuando una riflessione iniziata con il viaggio a Lampedusa, aggiunge: “Fa piangere vedere lo spettacolo di questi giorni in cui esseri umani vengono trattati come merce”.
Feriti, esclusi sono anche coloro che il mondo del lavoro ha messo da parte a causa della crisi: “Il lavoro manca, sono aumentate le disuguaglianze economiche e sociali, tante persone si sono impoverite e hanno problemi con la casa, la salute, l’istruzione e altri beni primari”. Cita don Bosco, il santo dei giovani, per dire che anche il conflitto sociale va prevenuto con la giustizia. No, dunque, a un’economia dello scarto, che chiede di rassegnarsi all’esclusione di coloro che vivono in povertà assoluta, a Torino circa un decimo della popolazione. Si escludono i bambini: natalità zero!; si escludono gli anziani, e adesso si escludono i giovani: più del 40 per cento di giovani disoccupati. No all’idolatria del denaro, alla corruzione, “tanto diffusa che sembra essere un atteggiamento, un comportamento normale”. No alle collusioni mafiose, alle truffe, alle tangenti; no all’inequità che genera violenza.
Il grido, “coraggio”, che Papa Francesco pronuncia è un invito ad affidarsi al Signore che sa sconfiggere le tenebre, la furia del vento e della tempesta, come ricorda il Vangelo. Nella Bibbia il male e l’oscurità sono simbolo di un mondo ancora nel caos iniziale, non ancora vinto dalla potenza di Dio. Nelle parole che il Papa pronuncia, c’è tutta la preoccupazione di non lasciarsi paralizzare dalle paure del futuro e cercare così sicurezze in cose che passano, in un modello di società che tende ad escludere e non ad includere. Cita Frassati, beatificato 25 anni da fa da Giovanni Paolo II, per chiedere ai giovani di impegnarsi a vivere e non a vivacchiare; di avere il coraggio di scelte definitive, importanti e non lasciarsi guidare da falsi mastri. Giovani che non trovano nulla e “sono spinti alla disperazione e alle dipendenze” e rischiano di cadere nelle mani della criminalità o di entrare nelle fila di coloro che alimentano il terrorismo. L’invito di Francesco, dunque, è di andare controcorrente perché, se la Sindone “attira verso il volto e il corpo martoriato di Gesù” nello stesso tempo, afferma Francesco all’Angelus, “spinge verso il volto di ogni persona sofferente e ingiustamente perseguita.
Fabio Zavattaro