La debolezza del cristiano e la misericordia del Padre sono gli elementi chiave delle tre parabole che Luca ci propone nel suo Vangelo. Tre racconti notissimi: il buon pastore che corre dietro la pecorella smarrita; la donna che cerca la moneta perduta, e spazza la casa fin quando non la ritrova; il figlio prodigo che fa ritorno a casa, accolto con gioia dal padre misericordioso. Tre immagini per aiutarci a capire come il Signore agisca diversamente dal nostro modo di concepire l’idea del perdono. Quando Cristo parla “del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare”, ricorda Benedetto XVI nella sua enciclica Deus caritas est. E spiega: “il pastore che ritrova la pecora perduta è il Signore stesso che prende su di sé, con la Croce, l’umanità peccatrice per redimerla”.
La parabola del figliol prodigo, inoltre, ci mette di fronte alla condizione del fratello maggiore, cui molto più spesso ci sentiamo di somigliare, che si ribella all’idea di accogliere e fare festa al fratello minore. Ma questa è la misericordia di Dio che corre incontro al figlio e lo abbraccia senza attendere una sua parola di pentimento, e chiede di far festa perché colui che era perduto è stato ritrovato. Interessante è anche la scelta del verbo: ritornare. Luca descrive il ritorno del figlio prodigo come un ritornare in sé, come se quell’andare in un paese lontano e vivere in modo dissoluto fosse un andare fuori di sé.
C’è un altro elemento comune, per Francesco, in queste tre parabole, ed è quel far festa, gioire insieme; quel rallegrarsi perché è stata ritrovata la pecora che si era perduta, e così la moneta. Rallegrarsi e far festa anche per il figlio “tornato in vita”. Una festa che si deve condividere con vicini e amici, è il caso del pastore e della donna. Che si deve vivere in tutta la casa, come desidera il padre misericordioso. È un aprire il nostro cuore alla certezza che, pur essendo peccatori, Dio non si stanca mai di venirci incontro, ed è lui che, per primo, percorre la strada che ci separa dalla sua vicinanza. È lui che, accogliendo la supplica di Mosè nel libro dell’Esodo, si alza dal trono della giustizia per sedersi sul trono della misericordia.
Gesù, dice Francesco all’Angelus, ci presenta con le parole delle tre parabole, il volto vero di Dio: “un Padre dalle braccia aperte, che tratta i peccatori con tenerezza e compassione. La parabola che più commuove, perché manifesta l’infinito amore di Dio, è quella del padre che stringe a sé, abbraccia il figlio ritrovato”. Ciò che colpisce, sottolinea il Papa, non è tanto la triste storia del giovane che precipita nel degrado, “ma le sue parole decisive: mi alzerò, andrò da mio padre. La via del ritorno verso casa è la via della speranza e della vita nuova. Dio aspetta sempre il nostro rimetterci in viaggio, ci attende con pazienza, ci vede quando ancora siamo lontani, ci corre incontro, ci abbraccia, ci bacia, ci perdona. Così è Dio!”
È un amore che non ammette differenze, per questo stupisce scribi e farisei, che mormorano: “costui riceve i peccatori e mangia con loro”, come leggiamo in Luca. Che trova strade apparentemente estranee e che invece ci fanno scoprire come solo la fede può trasformare l’egoismo in gioia e riannodare giusti rapporti con il prossimo e con Dio.
Il perdono del Padre “cancella il passato e ci rigenera nell’amore. Dimentica il passato: questa è la debolezza di Dio. Quando ci abbraccia e ci perdona, perde la memoria, non ha memoria! Dimentica il passato. Quando noi peccatori ci convertiamo e ci facciamo ritrovare da Dio non ci attendono rimproveri e durezze, perché Dio salva, riaccoglie a casa con gioia e fa festa”. Ricorda Francesco: “non c’è peccato in cui siamo caduti da cui, con la grazia di Dio, non possiamo risorgere; non c’è una persona irrecuperabile, nessuno è irrecuperabile! Perché Dio non smette mai di volere il nostro bene”.
Fabio Zavattaro