La domenica del Papa / Francesco: essere “ritenuti sinceri senza ricorrere a interventi superiori per essere creduti”

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Se la liturgia, in questa domenica, continua a soffermarsi sul discorso della montagna di Gesù, dopo l’annuncio delle beatitudini e l’indicazione che il cristiano deve essere sale della terra e luce del mondo, è perché sia ben chiara la novità cristiana espressa in quel “ma io vi dico”, che risuona per ben sei volte nel brano di Matteo. Da sottolineare che la prima predicazione di Gesù si chiama proprio discorso della montagna. Come leggiamo nel primo Vangelo, Gesù salì sul monte: in realtà, più che un monte si tratta di una collina. Ma il monte ha un valore simbolico, richiama il Sinai, Mosè, le dieci parole dell’alleanza. “Mosè – ricordava Benedetto XVI – salì sul monte Sinai per ricevere la legge di Dio e portarla al popolo eletto. Gesù è il figlio stesso di Dio che è disceso dal cielo per portarci al cielo, all’altezza di Dio, sulla via dell’amore. Anzi, lui stesso è questa via”.
Così nel brano del Vangelo di questa domenica Gesù “vuole aiutare i suoi ascoltatori a compiere una rilettura della legge mosaica”, dice all’Angelus Papa Francesco. “Quello che fu detto nell’antica alleanza era vero, ma non era tutto: Gesù è venuto per dare compimento e per promulgare in modo definitivo la legge di Dio”.
A leggere il testo di Matteo si rimane sconcertati, perché quello che ci viene proposto appare davvero impraticabile, anzi molto più esigente dei dieci comandamenti. E questo perché siamo abituati a pensare sempre in termini di legge, vietato o permesso, buono o cattivo, come se, mancando una legge, una norma da osservare ci sentissimo meno al sicuro. Gesù poteva essere visto come colui che non rispettava la legge, i profeti: d’altra parte non era entrato nella casa del pubblicano? Non aveva compiuto azioni il sabato? Ma ecco che con Matteo capiamo bene cosa sia la giustizia proclamata da Gesù: egli ci insegna a fare pienamente la volontà di Dio, ricorda Francesco, attraverso una “giustizia superiore, rispetto a quella degli scribi e farisei. Una giustizia animata dall’amore, dalla carità, dalla misericordia, e pertanto capace di realizzare la sostanza dei comandamenti, evitando il rischio del formalismo. Il formalismo: questo posso, questo non posso”.
Una giustizia superiore che Gesù proclama mediante una serie di antitesi, un superare i comandamenti antichi riproponendoli con il suo: “Ma io vi dico”. Sei antitesi – due le ritroveremo domenica prossima – che ripercorrono la legge mosaica: non uccidere, non commettere adulterio, non dire falsa testimonianza. Non solo chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio, ma anche chi si adira con il proprio fratello; chi dice stupido o pazzo al fratello dovrà essere sottoposto al sinedrio. Come dire: siamo messi male un po’ tutti. Quante volte abbiamo detto stupido o pazzo rivolgendoci a un nostro fratello, e così quel “ma io vi dico” ci tocca da vicino. Ricorda Francesco: il comandamento non uccidere è “violato non solo dall’omicidio effettivo, ma anche da quei comportamenti che offendono la dignità della persona umana, comprese le parole ingiuriose”. Ovviamente diversa è la gravità, ma, sottolinea il Papa, “si pongono sulla stessa linea, perché ne sono le premesse e rivelano la stessa malevolenza”. Nessuna graduatoria, le offese vanno considerate tutte dannose, perché, per Francesco, “chi insulta il fratello, uccide nel proprio cuore il fratello”.
Così l’adulterio. Era considerato una violazione del diritto di proprietà dell’uomo sulla donna. “Gesù va alla radice del male: come si arriva all’omicidio attraverso le ingiurie, le offese e gli insulti, così si giunge all’adulterio attraverso le intenzioni di possesso nei riguardi di una donna diversa dalla propria moglie”. I peccati “vengono prima concepiti nel nostro intimo” ricorda Francesco, e poi messi in atto.
Infine l’invito a non giurare: “È segno dell’insicurezza e della doppiezza con cui si svolgono le relazioni umane. Si strumentalizza l’autorità di Dio per dare garanzia alle nostre vicende umane”. Siamo chiamati invece a instaurare “un clima di limpidezza e di fiducia reciproca” così da essere “ritenuti sinceri senza ricorrere a interventi superiori per essere creduti”.

Fabio Zavattaro

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