In questa domenica di novembre due temi si affacciano alla nostra riflessione, il primo inerente al Vangelo del giorno e dunque la questione della cacciata dei mercanti dal tempio; il secondo legato a una ricorrenza storica, come la caduta del muro di Berlino, la fine, in sostanza, della divisione dell’Europa. Unire assieme questi due momenti diventa occasione per riflettere sulle scelte che come cristiani siamo chiamati a compiere. Il Vangelo ci parla di Cristo che allontana coloro che facevano commercio nel tempio, i cambiavalute, quanti cioè usavano per altri fini il luogo sacro. Ma ci dice anche che il tempio in cui incontrare il Signore non è solo il luogo circoscritto da mura; possiamo incontrarlo ovunque, possiamo essere con lui anche nel nostro posto di lavoro, assieme a colleghi o altre persone con cui condividiamo quello spazio e quel momento.
Il nostro è un tempo difficile – ma forse tutti i tempi della storia dell’uomo sono stati tempi difficili – tempo di grandi e profondi cambiamenti. Quel muro, crollato 25 anni fa a Berlino, un muro che ha diviso famiglie, popoli, ci porta alla memoria una vicenda fatta di sofferenze, di privazione della libertà, di violazioni dei diritti. In un certo senso ci dice che in quel tempo e in quel luogo c’era chi aveva allontanato Dio dalla propria vita e vedeva nell’altro, non un fratello. Quel muro, in un certo senso, può essere avvicinato alla cacciata dei mercanti dal tempio compiuta da Gesù. In quegli anni è la dignità della persona ad essere stata cacciata, soffocata da un regime che aveva paura di ciò che dall’altra parte del muro esisteva.
Accostamento azzardato, direte. Forse è anche vero. Ma quel muro rappresenta non solo una ferita nel vecchio continente, ma anche il luogo simbolo della sconfitta dei regimi totalitari. Il Signore ha messo la tenda in mezzo a noi, proprio per essere accanto a ogni uomo. La Chiesa che Papa Francesco desidera è una comunità che va incontro all’altro, è un uscire da sé stessi, da un modo stanco e abitudinario di vivere la fede.
Quel muro con le sue vittime, con il desiderio di libertà che animava le persone e le spingeva a rischiare la propria vita per raggiungere l’altra Berlino, l’Occidente, è occasione per dire il coraggio di chi non si è rassegnato, ma ha voluto combattere, uscire, appunto. Da simbolo della divisione ideologica dell’Europa, come ha ricordato Papa Francesco all’Angelus, il muro è diventato il simbolo di una ritrovata libertà. Una porta che è diventata muro – la Porta di Brandeburgo – e che 25 anni fa è tornata ad essere porta, ricordava in occasione del suo viaggio a Berlino Giovanni Paolo II. Ciò è stato possibile “dal lungo e faticoso impegno di tante persone che per questo hanno lottato, pregato e sofferto, alcuni fino al sacrificio della vita”. Tra questi, dice Francesco, “un ruolo di protagonista ha avuto il santo Papa Giovanni Paolo II”.
Il mondo conosce altri muri che ancora dividono popoli e nazioni, come a Cipro, in quella parte di Europa che non conosce ancora una vera pace. O la Corea, recentemente visitata da Papa Francesco: un muro fatto di filo spinato, all’altezza del trentottesimo parallelo, che impedisce l’incontro tra famiglie, tra padri e figli. O ancora quel muro che separa Stati Uniti e Messico, con il solo obiettivo di impedire l’ingresso di persone che cercano, nel nord dell’America, una vita diversa, e un futuro migliore per i propri figli.
I muri separano, dividono. Di qui la preghiera del Papa che chiede “si diffonda sempre più una cultura dell’incontro, capace di far cadere tutti i muri che ancora dividono il mondo, e non accada più che persone innocenti siano perseguitate e perfino uccise a causa del loro credo e della loro religione. Dove c’è un muro, c’è chiusura di cuore. Servono ponti, non muri”.
Cacciare i mercanti dal tempio, come ha fatto Gesù e come leggiamo nel Vangelo di questa domenica, oggi significa anche allontanare dai nostri cuori propositi che creano muri di incomprensione e di divisione. Essere edificio di Dio è invito ad accogliere l’altro, colui che è a me prossimo. Papa Francesco parla di una Chiesa “capace di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli”.
La Chiesa oggi è chiamata a professare con umiltà e coraggio la fede in Dio Padre. Essere il tempio di Dio significa allora essere capaci di impegnarci “perché l’umanità possa superare le frontiere dell’inimicizia e dell’indifferenza”, e costruire così, chiede il Papa, “ponti di comprensione e di dialogo, per fare del mondo intero una famiglia di popoli riconciliati tra di loro, fraterni e solidali. Di questa nuova umanità la Chiesa stessa è segno ed anticipazione, quando vive e diffonde con la sua testimonianza il Vangelo, messaggio di speranza e di riconciliazione per tutti gli uomini”.
Fabio Zavattaro