“Il mondo non diventa migliore perché composto soltanto da persone apparentemente perfette, per non dire truccate, ma quando crescono la solidarietà tra gli esseri umani, l’accettazione reciproca e il rispetto”. Papa Francesco celebra in piazza San Pietro la messa conclusiva del Giubileo dedicato ai malati e alle persone disabili. In trentamila assistono al rito che vive di tante particolarità: la liturgia è tradotta nel linguaggio dei segni, la seconda lettura è proclamata da una donna non vedente che fa scorrere la mano sul leggio, sul testo in braille. Il Vangelo è letto e, per la prima volta, è anche rappresentato visivamente da un gruppo di persone disabili mentali. All’offertorio, la processione vive un altro momento particolare: una piccola disabile grave, in braccio alla mamma, sembra quasi diventare lei stessa offerta, così come le lacrime di un padre che tiene per mano la propria figlia. “Il modo in cui viviamo la malattia e la disabilità è indice dell’amore che siamo disposti a offrire”, afferma Papa Francesco, che aggiunge: “Il modo in cui affrontiamo la sofferenza e il limite è criterio della nostra libertà di dare senso alle esperienze della vita, anche quando ci appaiono assurde e non meritate”.
Il Vangelo che viene proclamato è quello di Luca, il perdono alla donna peccatrice; la prima lettura è il dialogo tra Davide e il profeta Natan, in cui sono messi di fronte l’uomo peccatore e Dio ricco di misericordia. È il paradosso di un amore che sgorga dal perdono e che può essere donato e accolto solo da chi ama. Ed è segno dell’amore che Dio “riserva per coloro che soffrono e sono esclusi”. Non esiste solo la sofferenza fisica, afferma ancora il Papa, “una delle patologie più frequenti è anche quella che tocca lo spirito. È una sofferenza che coinvolge l’animo e lo rende triste perché privo di amore. La patologia della tristezza”. La natura umana, ferita dal peccato, afferma ancora il Papa, “porta inscritta in sé la realtà del limite”. La vera sfida “è quella di chi ama di più. Quante persone disabili e sofferenti si riaprono alla vita appena scoprono di essere amate”. È per Francesco, la “terapia del sorriso”, e allora “la fragilità stessa può diventare conforto e sostegno alla nostra solitudine”. Viviamo in un’epoca che sbaglia a interpretare i segni dei tempi: “Quale illusione vive l’uomo di oggi quando chiude gli occhi davanti alla malattia e alla disabilità! Egli non comprende il vero senso della vita, che comporta anche l’accettazione della sofferenza e del limite”. Il mondo, dice Francesco nell’omelia, vive un tempo in cui “una certa cura del corpo è divenuta mito di massa e, dunque, affare economico. Ciò che è imperfetto deve essere oscurato, perché attenta alla felicità e alla serenità dei privilegiati e mette in crisi il modello dominante”. E la risposta che spesso viene proposta è sbagliata: “Meglio tenere queste persone separate, in qualche ‘recinto’ – magari dorato – o nelle ‘riserve’ del pietismo e dell’assistenzialismo, perché non intralcino il ritmo del falso benessere. In alcuni casi, addirittura, si sostiene che è meglio sbarazzarsene quanto prima, perché diventano un peso economico insostenibile in un tempo di crisi”.
Non si può chiudere gli occhi davanti alla malattia e alla disabilità. Papa Francesco lo ha sottolineato spesso, anche dedicando, lo abbiamo visto più volte, tempo e tenerezza alle persone che vivono difficoltà fisiche e psichiche. Domenica non ha risparmiato gesti e parole per essere accanto a queste persone “imperfette” in un mondo del finto benessere. Prima o poi tutti “siamo chiamati a confrontarci, talvolta a scontrarci, con le fragilità e le malattie nostre e altrui”. Fragilità e malattie che assumono volti diversi, anche drammatici, e mettono in primo piano l’interrogativo sul senso dell’esistenza. Sbagliato pensare che una persona malata o disabile “non possa essere felice, perché incapace di realizzare lo stile di vita imposto dalla cultura del piacere e del divertimento”. La felicità che ognuno desidera, dice ancora Papa Francesco, “può esprimersi in tanti modi e può essere raggiunta solo se siamo capaci di amare. Questa è la strada”.
Fabio Zavattaro