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La domenica del Papa / I tempi supplementari. Sono quelli che Gesù concede, senza risparmio, a tutti i peccatori

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Continua il cammino di Gesù verso Gerusalemme e dopo l’esperienza della PapaUdienzaPiazzaSanPietro24feb2016_0262_resize-268x179tentazione nel deserto e il monte Tabor, le letture di questa domenica ci raccontano di un altro monte, l’Oreb, e dell’obbedienza di Mosè. E il Vangelo si sofferma sulla parabola del fico, il dialogo tra il padrone e il vignaiolo che vuole salvare la pianta ed evitare che venga tagliata.
Partendo dal racconto di Luca, la domanda di fondo è: Dio punisce? È la domanda che si pone anche il Papa, all’Angelus, collegando le “brutte notizie” di omicidi, incidenti e catastrofi che le cronache riportano, al brano evangelico in cui Gesù accenna a due fatti che all’epoca avevano fatto molto scalpore: una repressione cruenta condotta dai romani e il crollo della torre di Siloe con diciotto vittime. Nella mentalità superstiziosa dei suoi ascoltatori del tempo, quegli avvenimenti sono interpretati con la logica: se la sono cercata, se lo meritavano perché hanno compiuto colpe gravi e sono stati castigati. E di conseguenza, mi sono salvato perché sono a posto. Ma per Gesù non è questa l’interpretazione corretta, “Dio non permette le tragedie per punire le colpe” e quelle “povere vittime”, afferma Francesco, “non erano affatto peggiori degli altri”; da questi fatti dolorosi viene “un ammonimento che riguarda tutti, perché tutti siamo peccatori”.
Dio punisce? Anche oggi di fronte a certe disgrazie e a eventi luttuosi, sono sempre le parole di Papa Francesco, “può venirci la tentazione di scaricare la responsabilità sulle vittime, o addirittura su Dio stesso”. Forse è un collegamento arbitrario, ma nelle parole del dopo Angelus Francesco invita a pregare per i profughi che fuggono da guerre e situazioni disumane, e chiede la “collaborazione di tutte le nazioni” per una risposta “corale” e “efficace” verso i Paesi che sono in prima linea; e preghiere perché la tregua in Siria non solo aiuti la popolazione sofferente, ma “apre la strada al dialogo e alla pace”.
Sembra quasi dire, Francesco, che se c’è un colpevole da cercare in questi drammi, lo si deve fare puntando il dito sull’indifferenza delle nazioni, sulla mancanza di volontà di essere accanto alle popolazioni che soffrono, che vivono violenze e privazioni. L’invito è quello di cambiare il nostro cuore, “fare una radicale inversione nel cammino della nostra vita, abbandonando i compromessi con il male, le ipocrisie, e imboccare decisamente la strada del Vangelo”. Convertirsi dunque.
Ed ecco l’immagine dell’albero di fico, del padrone che vuole tagliarlo perché non da frutto e il vignaiolo che invece chiede pazienza: “lascialo ancora quest’anno finché gli avrò zappato attorno, vedremo se porterà frutti…” Il racconto di Luca finisce qui, non conosciamo la sorte della pianta; ma quello che conta, nel racconto, è la capacità di accogliere la proposta, cioè la possibilità di un tempo ulteriore per portare frutto. Lo sguardo del contadino è lo sguardo del Signore che va oltre il fallimento evidente e concede i tempi supplementari, si potrebbe dire con una immagine calcistica. È un Dio, quello in cui crediamo, che, nella sua giustizia, non punisce e non si vendica, ma si fa carico della punizione ed è accanto; non abbandona, ma è coinvolto.
La vicenda di Mosè raccontata nell’Esodo, ci offre un’altra chiave di lettura. L’incontro con Dio è dovuto a un fatto che nessun pastore compirebbe: portare il gregge nel deserto. Così si deve trovare un luogo oltre il deserto per far pascolare le sue pecore, ed è qui che Mosè incontra il Signore, ascolta la sua voce mentre il roveto arde ma non si consuma. Cosa fa allora? Si avvicina per guardare “questo grande spettacolo”. Cioè cambia strada Mosè, si allontana dal sentiero che stava percorrendo per avvicinarsi e osservare meglio. Cambia strada, cioè si converte. Uno sbaglio, un errore che porta a un incontro.
Gesù somiglia a quel contadino che, “con una pazienza senza limiti, ottiene ancora una proroga”: è per Francesco “l’invincibile pazienza di Gesù”, la sua “irriducibile preoccupazione” per i peccatori. Non è mai troppo tardi per convertirsi, ricorda il Papa.

Fabio Zavattaro

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