La domenica del Papa / Incompatibilità tra potere e servizio. La logica delle beatitudini è lontana da ogni mondanità

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Sorprendenti le letture di questa domenica soprattutto perché non è difficile vedere una tentazione che anima il udipnostro tempo, nella richiesta dei due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, quando chiedono a Gesù di essere scelti per sedere uno alla sua destra l’altro alla sua sinistra nel Regno di Dio. Il potere, la scelta del dominio. La loro richiesta porta alla mente la categoria degli arrivisti, di coloro che per far carriera sono disposti a passare sulla testa degli altri; “arrampicatori sociali” potremmo anche chiamarli. Tentazione che si oppone alla logica del servizio che anima in profondità la via di Gesù, e che dovrebbe animare la sequela del discepolo.
Già domenica scorsa il tema del servizio è venuto alla luce nell’incontro tra il giovane ricco e il Maestro, e in quella richiesta, rifiutata, di dare le sue ricchezze ai poveri. In questa domenica ancora una volta Gesù ricorda che la strada verso Gerusalemme comporta la croce, il figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire. Per tre volte ha annunciato ai discepoli la sua passione, morte e risurrezione. Ma ancora non basta loro, tanto che Giacomo e Giovanni pretendono di avere un privilegio rispetto gli altri, chiedono un posto accanto al Signore nel Regno, da cui poter emergere e dominare sugli altri.
Il profeta Isaia, è la prima lettura, descrive la figura del servo di Jahwé: “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia”. È disprezzato da tutti, non avevano stima di lui; dice Papa Francesco: “Uno cui non attribuiscono imprese grandiose, né celebri discorsi, ma che porta a compimento il piano di Dio attraverso una presenza umile e silenziosa, e attraverso il proprio patire. La sua missione, infatti, si realizza mediante la sofferenza”.
Ecco il grande paradosso: non è brigando per ottenere potere e successo che si distingue il discepolo. È la logica delle beatitudini, lontana dalla mondanità che Francesco denuncia: chi vuole diventare grande sia servitore; è attraverso una “presenza umile e silenziosa” che si porta a compimento il piano di Dio. È un profondo cambiamento di mentalità che viene chiesto, cioè “passare dalla bramosia del potere alla gioia di scomparire e servire”; “sradicare l’istinto del dominio sugli altri ed esercitare la virtù dell’umiltà”.
Don Tonino Bello diceva: “Noi come credenti ma anche come non-credenti non abbiamo più i segni del potere. Se noi potessimo risolvere tutti i problemi degli sfrattati, dei drogati, dei marocchini, dei terzomondiali, i problemi di tutta questa povera gente, se potessimo risolvere i problemi dei disoccupati, allora avremmo i segni del potere sulle spalle. Noi non abbiamo i segni del potere, però c’è rimasto il potere dei segni, il potere di collocare dei segni sulla strada a scorrimento veloce della società contemporanea, collocare dei segni vedendo i quali la gente deve capire verso quali traguardi stiamo andando e se non è il caso di operare qualche inversione di marcia”.
È ciò che ci viene chiesto in questa domenica, nella quale Francesco proclama santi un parroco, Vincenzo Grossi, una religiosa, Maria dell’Immacolata Concezione, e i genitori di Teresa di Lisieux, Ludovico Martin e Maria Azelia Guérin. Nell’omelia in piazza san Pietro afferma: “C’è incompatibilità tra un modo di concepire il potere secondo criteri mondani e l’umile servizio che dovrebbe caratterizzare l’autorità secondo l’insegnamento e l’esempio di Gesù. Incompatibilità tra ambizioni, arrivismi e sequela di Cristo; incompatibilità tra onori, successo, fama, trionfi terreni e la logica di Cristo crocifisso. C’è invece compatibilità tra Gesù ‘esperto nel patire’ e la nostra sofferenza”. La sua gloria – afferma ancora il Papa nell’omelia – non è quella “dell’ambizione o della sete di dominio, ma è la gloria di amare gli uomini, assumere e condividere la loro debolezza e offrire loro la grazia che risana, accompagnarli con tenerezza infinita, accompagnarli nel loro tribolato cammino”.

Fabio Zavattaro

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