La libertà è il dono di poter scegliere il bene, non il poter fare sempre quello che piace. Nella domenica in cui la liturgia ci propone, con il Vangelo di Giovanni, il comandamento nuovo, che distingue il cristiano in un mondo segnato dalla superbia e dalla mancanza di attenzione vera nei confronti dell’altro – “amatevi gli uni gli altri” – in questo giorno Papa Francesco si rivolge ai giovani e ai ragazzi che incontra in piazza San Pietro, per il Giubileo loro dedicato, e dice: l’amore “è la carta di identità del cristiano, è l’unico documento valido per essere riconosciuti discepoli di Gesù”. È un dialogo che ha come tema l’amore concreto: “Non l’amore ‘nelle nuvole’”, ma “l’amore concreto che risplende nella sua vita. L’amore è sempre concreto. Chi non è concreto e parla dell’amore fa una telenovela, un teleromanzo”. Ma amare non è facile “è impegnativo, costa fatica” ricorda Francesco; amare vuol dire donare “non solo qualcosa di materiale, ma qualcosa di sé stessi: il proprio tempo, la propria amicizia, le proprie capacità”.
Il brano del Vangelo di questa domenica inizia con una indicazione temporale: “Quando fu uscito”. Chi? Si tratta di Giuda, sul quale è scesa la notte del rifiuto e del tradimento; Giuda che lascia la sala del banchetto ed esce anche dallo spazio dell’amore che avvolge e illumina: “Ed era notte”. È questo amore che Francesco ripete ai giovani; è questo amore che Francesco mette in primo piano quando a Lesbo, nel suo recentissimo viaggio, ha detto che i profughi non sono numeri ma persone: sono volti, nomi, storie e come tali vanno trattati. In un tempo in cui troppo spesso i diritti si trasformano in privilegi per il singolo, e l’altro è, appunto, un numero, un fastidio, un pericolo, un ostacolo, un “oggetto” da sfruttare, il Papa dice ai ragazzi che amare vuol dire donare; e invita a guardare al Signore che, dice, “è invincibile in generosità”.
Come non pensare, in questi giorni in cui l’emergenza immigrazione è in primo piano, alla storia del nostro Paese, quando per amore della propria famiglia, molti nonni e padri, hanno lasciato la casa e la terra per andare a lavorare in un’altra nazione, in un altro continente: pensiamo al dolore e alle sofferenze per questi prolungati distacchi; ma nello stesso tempo quanta solidarietà tra persone che parlavano la stessa lingua, quanta amicizia e quanto aiuto.
Non è anche questo un aspetto di quel comandamento nuovo che leggiamo così in Giovanni: “Che vi amiate gli uni, gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni gli altri”. L’amore, ricorda Francesco, “è il dono libero di chi ha il cuore aperto; è una responsabilità, ma bella, che dura tutta la vita”. Di qui l’invito a non accontentarsi della mediocrità, a “non vivacchiare stando comodi e seduti; non fidatevi di chi vi distrae dalla vera ricchezza che siete voi, dicendovi che la vita è bella solo se si hanno molte cose”. Insomma la felicità vera non è un app che si scarica dal telefonino: “Nemmeno la versione più aggiornata potrà aiutarvi a diventare liberi e grandi nell’amore”. Anche nel videomessaggio che Francesco registra per i ragazzi, torna l’immagine del telefonino, per dire che qualche volta capita che non c’è campo e non si riesce a fare la telefonata; in alcuni posti il cellulare non prende. Direte: cosa c’entra questo con l’amore e la capacità di essere discepoli di Cristo? Lo spiega così il Papa: “Ricordate che se nella vostra vita non c’è Gesù è come se non ci fosse campo! Non si riesce a parlare e ci si rinchiude in se stessi. Mettiamoci sempre dove si prende! La famiglia, la parrocchia, la scuola, perché in questo mondo avremo sempre qualcosa da dire di buono e di vero”.
L’amore, dunque, è essere accanto all’altro, come Gesù che non ha avuto timore di mangiare accanto a colui che lo avrebbe poi tradito; l’amore è una mano tesa per aiutare chi si trova in difficoltà: una mano, quella del Signore, che aiuta ad alzarsi e porta in alto.
Fabio Zavattaro