La festa del battesimo del Signore conclude il tempo liturgico del Natale e ci introduce nel tempo ordinario. Ma il battesimo nelle acque del Giordano, segna soprattutto l’inizio dell’attività pubblica di Gesù. E in questo scendere al Giordano possiamo leggere un duplice messaggio: l’umiltà del Signore che si manifesta nel gesto di accettare il battesimo da Giovanni; e la volontà di Gesù di “scendere”, di condividere la condizione dell’uomo: il verbo che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, abbiamo detto solo pochi giorni fa.
Nel suo Vangelo, Matteo scrive di un Gesù confuso tra la folla, tra i peccatori, lui che è senza peccato. E c’è il dialogo con Giovanni che voleva impedirgli di compiere l’atto: sono io che ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me? “Il Battista infatti è consapevole della grande distanza che c’è tra lui e Gesù”, afferma Papa Francesco nelle parole che pronuncia prima della preghiera mariana dell’Angelus. “Ma Gesù – prosegue il Papa – è venuto proprio per colmare la distanza tra l’uomo e Dio: se egli è tutto dalla parte di Dio, è anche tutto dalla parte dell’uomo, e riunisce ciò che era diviso. Per questo chiede a Giovanni di battezzarlo, perché si adempia ogni giustizia, cioè si realizzi il disegno del Padre che passa attraverso la via dell’obbedienza e della solidarietà con l’uomo fragile e peccatore, la via dell’umiltà e della piena vicinanza di Dio ai suoi figli”.
Gesù “venne dalla Galilea al fiume Giordano”. Da Giovanni accorrevano da tutta la Palestina per ascoltare la sua predicazione, l’annuncio dell’avvento del regno di Dio, e per ricevere il battesimo, cioè per sottoporsi a quel segno di penitenza che richiama alla conversione dal peccato. Qui è interessante notare come l’acqua metta in evidenza, da un lato, il simbolismo della morte, il diluvio che annienta e distrugge, e, dall’altro, il messaggio della vita, che possiamo cogliere nel fiume, con il suo scorrere verso la foce. Immergendosi nell’acqua del Giordano, la persona riconosceva di avere peccato, e implorava da Dio la purificazione dalle proprie colpe. Leggiamo l’azione che si svolge sulle rive del Giordano: Gesù scende nelle acque del fiume che scorre 400 metri sotto il livello del mare; scende dalla Galilea. Scende per unirsi agli uomini che vanno da Giovanni il Battista; scende per immergersi con gli altri peccatori per poi risalire verso il Padre, compiendo un cammino che lo porterà nel deserto e quindi a compiere la missione per la quale è stato inviato, cioè la liberazione dell’uomo dalla schiavitù del peccato e del male. Quanta similitudine con il cammino del popolo di Israele che liberato dalla schiavitù, vaga nel deserto prima di raggiungere la terra promessa e bagnarsi nelle acque del fiume Giordano.
In questo suo atto, nell’affidarsi totalmente alla volontà del Padre, Gesù è colui che viene a compiere la giustizia. Che qui va intesa non tanto come riferimento alla giustizia morale, giuridica, come siamo abituati a coglierla, ma appunto in riferimento alla volontà del Padre, perché il Dio della Bibbia è giusto e nella sua misericordia compie le sue promesse e realizza la salvezza degli uomini. Così, nel momento in cui esce dall’acqua, Dio si fa sentire: “Questi è il figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”. Ha inizio qui la missione salvifica di Gesù, missione, per Francesco, caratterizzata dallo stile “del servo umile e mite, munito solo della forza della verità, come aveva profetizzato Isaia”. Ed è anche lo stile missionario dei discepoli di Cristo: “Annunciare il Vangelo con mitezza e fermezza, senza gridare, senza sgridare qualcuno, ma con mitezza e fermezza, senza arroganza o imposizione”, perché la vera missione, afferma il Papa, “non è mai proselitismo ma attrazione a Cristo”. Attrazione, afferma Francesco, che si fa “con la propria testimonianza, a partire dalla forte unione con lui nella preghiera, nell’adorazione e nella carità concreta, che è servizio a Gesù presente nel più piccolo dei fratelli”.
Fabio Zavattaro