Marco, nel suo Vangelo, ci consegna quattro verbi con i quali il Figlio dell’uomo scandisce il destino di sofferenza e di gloria che lo attende: soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso, risorgere. Gesù si trova a Cesarea di Filippo, nell’estremo nord del territorio palestinese, e inizia da lì il suo viaggio verso Gerusalemme. Nel momento in cui i discepoli credono finalmente di aver capito qualcosa di quell’uomo che chiamano il Maestro, ecco che devono fare i conti con parole scioccanti e incomprensibili: perché il loro Signore deve essere rifiutato, deve soffrire e morire. E poi cosa vuol dire risorgere? È un Cristo che interroga e pone domande: chi è per te Gesù di Nazareth? Pietro dà una risposta netta e immediata: “Tu sei il Cristo”. Rimane colpito da questa risposta. Così si apre ai suoi, racconta il cammino che lo attende e i fatti della Pasqua nella Città Santa. Pietro si ribella e, per la prima volta, Gesù rimprovera severamente Pietro: “Va’ dietro a me, Satana”. Lo chiama Satana “perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.
Papa Francesco ci invita a riflettere: in quale modo guardiamo alle cose del mondo? Lui è un “Messia umile e servitore”; è “il servo obbediente alla parola e alla volontà del Padre, fino al sacrificio della propria vita”. Chi invece non riesce a sentire e a vedere le cose di Dio lasciandosi guidare soltanto dai suoi istinti, dai suoi desideri umani, da tutto ciò che è secondo gli uomini, non è sulla strada giusta. Mettersi alla sequela di Gesù, ricorda ancora Francesco, “significa prendere la propria croce per accompagnarlo nel suo cammino, un cammino scomodo che non è quello del successo, della gloria passeggera, ma quello che conduce alla vera libertà, quella che ci libera dall’egoismo e dal peccato”.
Pietro ha la risposta giusta ma la sua mente ragiona ancora con le categorie umane; si capisce così il suo rifiuto di pensare che quell’uomo che stava seguendo, che compiva prodigi e insegnava con sapienza, potesse soffrire e morire. Non coglie così l’ultimo verbo – risorgere – non accetta la logica che per rinascere a nuova vita bisogna far morire la vecchia esistenza.
Essere cristiani non si ferma alla sola conoscenza della Parola, ma si tratta di metterla in pratica con le opere. Ricordava Papa Benedetto XVI: “Se uno ama il prossimo con cuore puro e generoso, vuol dire che conosce veramente Dio. Se invece uno dice di avere fede, ma non ama i fratelli, non è un vero credente. Dio non abita in lui”. In questo ci aiuta la seconda lettura, la lettera di Giacomo, che scrive: “Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno dice loro andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?”.
Chi è l’altro, il prossimo? Forse dovremmo porci questa domanda di fronte alla sofferenza di chi cerca un lavoro, ha bisogno di cibo. Chi è il prossimo, quando vediamo arrivare da Paesi in guerra o colpiti tra tremende siccità, uomini e donne che hanno un solo desiderio, trovare una nuova vita lontano dalle sofferenze vissute. Chi è il prossimo, quando con i nostri stili di vita consumiamo molto più del necessario. Chi è ancora il prossimo, quando ci troviamo a fare i conti con una crisi economica che ci tocca da vicino, ma che non risparmia nemmeno i popoli dei paesi in via di sviluppo; o forse hanno ragione i missionari quando parlano di paesi impoveriti anche dal nostro egoismo. Chi è il prossimo, quando ascoltiamo la testimonianza di persone, come il beato sudafricano ricordato dal Papa all’Angelus, uccise perché non hanno voluto rinnegare la propria fede.
Allora si capisce anche il verbo risorgere, cioè entrare in una nuova vita operando un “netto rifiuto di quella mentalità mondana che pone il proprio ‘io’ e i propri interessi al centro dell’esistenza”; ancora, perdere la propria esistenza per “riceverla rinnovata, realizzata e autentica”. Seguire il Signore, “che si è fatto servo di tutti” significa camminare dietro di lui, una strada che conduce, alla fine, alla risurrezione, afferma ancora Francesco all’Angelus, “alla vita piena e definitiva con Dio”.
Papa Francesco ci invita a riflettere: in quale modo guardiamo alle cose del mondo? Lui è un “Messia umile e servitore”; è “il servo obbediente alla parola e alla volontà del Padre, fino al sacrificio della propria vita”. Chi invece non riesce a sentire e a vedere le cose di Dio lasciandosi guidare soltanto dai suoi istinti, dai suoi desideri umani, da tutto ciò che è secondo gli uomini, non è sulla strada giusta. Mettersi alla sequela di Gesù, ricorda ancora Francesco, “significa prendere la propria croce per accompagnarlo nel suo cammino, un cammino scomodo che non è quello del successo, della gloria passeggera, ma quello che conduce alla vera libertà, quella che ci libera dall’egoismo e dal peccato”.
Pietro ha la risposta giusta ma la sua mente ragiona ancora con le categorie umane; si capisce così il suo rifiuto di pensare che quell’uomo che stava seguendo, che compiva prodigi e insegnava con sapienza, potesse soffrire e morire. Non coglie così l’ultimo verbo – risorgere – non accetta la logica che per rinascere a nuova vita bisogna far morire la vecchia esistenza.
Essere cristiani non si ferma alla sola conoscenza della Parola, ma si tratta di metterla in pratica con le opere. Ricordava Papa Benedetto XVI: “Se uno ama il prossimo con cuore puro e generoso, vuol dire che conosce veramente Dio. Se invece uno dice di avere fede, ma non ama i fratelli, non è un vero credente. Dio non abita in lui”. In questo ci aiuta la seconda lettura, la lettera di Giacomo, che scrive: “Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno dice loro andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?”.
Chi è l’altro, il prossimo? Forse dovremmo porci questa domanda di fronte alla sofferenza di chi cerca un lavoro, ha bisogno di cibo. Chi è il prossimo, quando vediamo arrivare da Paesi in guerra o colpiti tra tremende siccità, uomini e donne che hanno un solo desiderio, trovare una nuova vita lontano dalle sofferenze vissute. Chi è il prossimo, quando con i nostri stili di vita consumiamo molto più del necessario. Chi è ancora il prossimo, quando ci troviamo a fare i conti con una crisi economica che ci tocca da vicino, ma che non risparmia nemmeno i popoli dei paesi in via di sviluppo; o forse hanno ragione i missionari quando parlano di paesi impoveriti anche dal nostro egoismo. Chi è il prossimo, quando ascoltiamo la testimonianza di persone, come il beato sudafricano ricordato dal Papa all’Angelus, uccise perché non hanno voluto rinnegare la propria fede.
Allora si capisce anche il verbo risorgere, cioè entrare in una nuova vita operando un “netto rifiuto di quella mentalità mondana che pone il proprio ‘io’ e i propri interessi al centro dell’esistenza”; ancora, perdere la propria esistenza per “riceverla rinnovata, realizzata e autentica”. Seguire il Signore, “che si è fatto servo di tutti” significa camminare dietro di lui, una strada che conduce, alla fine, alla risurrezione, afferma ancora Francesco all’Angelus, “alla vita piena e definitiva con Dio”.
Fabio Zavattaro