La domenica del Papa / Nel pane spezzato il volto dell’altro. Invito alla conversione e al servizio, all’amore e al perdono

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La festa del Corpus Domini in qualche modo ci chiama a fare un passo indietro, a tornare alla vigilia della Pasqua, nella sala dell’ultima cena, quando, nell’avvicinarsi della morte, il Signore è con i suoi discepoli: sa che uno di loro lo tradirà, e altri lo avrebbero abbandonato. Festa che, nello stesso tempo, è in continuità con domenica scorsa, quando, con l’evangelista Matteo, abbiamo letto la promessa di Gesù, e cioè che sarebbe rimasto con noi fino alla fine del mondo. La festa del Corpo e Sangue di Cristo ci dice papa francescoproprio questo: “nell’eucaristia – ricorda all’Angelus Papa Francesco – è presente Gesù, ma occorre vedere in essa la presenza di una vita donata e prendervi parte”. L’ultima cena, dunque, “non è soltanto anticipazione del suo sacrificio che si compirà sulla croce, ma anche sintesi di un’esistenza offerta per la salvezza dell’intera umanità”.
Quello spezzare assieme il pane è carta d’identità del credente e “messaggio solidale” afferma ancora il Papa, invito “alla conversione e al servizio, all’amore e al perdono”. Di più, “il Cristo, che ci nutre sotto le specie consacrate del pane e del vino, è lo stesso che ci viene incontro negli avvenimenti quotidiani; è nel povero che tende la mano, è nel sofferente che implora aiuto, è nel fratello che domanda la nostra disponibilità e aspetta la nostra accoglienza. È nel bambino che non sa niente di Gesù, della salvezza, che non ha la fede. È in ogni essere umano, anche il più piccolo e indifeso”.
Scuola “di carità e di solidarietà” per non restare indifferenti di fronte alle sofferenze dei nostri fratelli. Parole che fanno tornare alla mente il forte messaggio lanciato dal Papa nel suo viaggio a Sarajevo, città martire, ferita da un conflitto che dal 1992 al 1995 ha spezzato migliaia di vite umane, il più lungo assedio dell’epoca moderna con le sue 12mila vittime e 56mila feriti: “mai più la guerra”. Gerusalemme europea l’ha chiamata san Giovanni Paolo II, crocevia di popoli e culture, “dove la diversità, se da un lato costituisce una grande risorsa che ha permesso lo sviluppo sociale, culturale e spirituale della regione, dall’altro è stata motivo di dolorose lacerazioni e sanguinose guerre”.
Un conflitto che ha mostrato il volto disumano, feroce, di chi ha costretto bambini, donne, anziani nei campi profughi, ha spezzato vite umane, ha messo in atto una “pulizia etnica” che è l’opposto dello spezzare il pane, camminare assieme. L’appello del Papa da Sarajevo è invito a essere non “predicatori” di pace – “tutti sono capaci di proclamarla, anche in maniera ipocrita o addirittura menzognera” – ma “operatori di pace”. Lavoro artigianale, la pace; “opera della giustizia” non declamata, teorizzata, “ma giustizia praticata”.
Se viviamo veramente e concretamente il messaggio che viene da quel pane spezzato nell’ultima cena, allora le cose cambiano e il “nemico” in realtà “ha il mio stesso volto, il mio stesso cuore, la mia stessa anima”.
Sarajevo con le sue ferite, con le case ancora segnate dai colpi di cannone a venti anni dalla conclusione della guerra, con il suo essere stata al centro di tutti i conflitti dal 1914 ad oggi, è dramma, problema e sfida per il futuro dell’Europa, come ricordava Papa Wojtyla nel suo viaggio del 1997. Occorre allora guardare a questa città per dire che la pace di Gesù non è quella imposta con le armi dai vincitori ai vinti, dai più forti ai più deboli. Ma è dono, che poggia sulla cultura dell’incontro, antidoto “alla barbarie di chi vorrebbe fare di ogni differenza l’occasione e il pretesto di violenze sempre più efferate”.
Ed ecco che risuona la preghiera pronunciata nell’incontro con i rappresentanti delle altre religioni; incontro ecumenico e interreligioso nel quale si prega: “in ognuno di noi rafforza la fede e la speranza, il rispetto reciproco e l’amore sincero per tutti i nostri fratelli e sorelle. Fa’ che con coraggio ci impegniamo a costruire la giustizia sociale, ad essere uomini di buona volontà, pieni di comprensione reciproca e di perdono, pazienti artigiani di dialogo e di perdono”. Purificazione della memoria, che sana le ferite e offre speranza.

Fabio Zavattaro

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