Siamo ancora nel contesto dei discorsi di addio che Gesù propone ai suoi discepoli; è il tempo, breve, che intercorre tra la sua resurrezione e l’assunzione in cielo. Le letture ci offrono innanzitutto due immagini di Gerusalemme: negli Atti degli apostoli è la sede di un incontro che la tradizione successiva chiamerà il Concilio di Gerusalemme, teso a risolvere una controversia a proposito della circoncisione, ovvero se dovessero osservare questa pratica anche i pagani convertiti. Nell’Apocalisse di Giovanni la città santa è descritta con grande cura fin nelle sue misure: è la città con le sue dodici porte rivolte ai quattro punti cardinali, ma è, soprattutto, la meta del cammino del credente, un pellegrinare fatto di essenzialità, come racconta Giovanni nel suo Vangelo: la parola da osservare e custodire, il dono dello Spirito Santo e la pace donata dal Signore che vince ogni paura. In questa sesta domenica del tempo di Pasqua, sono queste le immagini che accompagnano la nostra riflessione, per cogliere l’essenzialità di un cammino verso la Gerusalemme celeste, dove non ci sarà più “la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate”. I nomi delle dodici tribù scritte su quelle porte sono ulteriore messaggio, per dire che è sì la meta cui tendere, ma questo vale per tutti i popoli; ed è Gerusalemme stessa a scendere verso di noi in tutta la sua bellezza, perché quelle porte sono, appunto, aperte a tutti: spetta a noi saper accogliere la parola del Signore per lasciare che lo Spirito Santo ci trasformi.
C’è anche questo dietro la riflessione di Papa Francesco nel Regina Coeli, nel giorno in cui ricorda i bambini vittime di violenza e abusi: salutando l’associazione Meter, che “lotta contro ogni forma di abuso sui minori”, parla di “tragedia”. E aggiunge: “Non dobbiamo tollerare gli abusi sui minori! Dobbiamo difendere i minori e dobbiamo punire severamente gli abusatori. Grazie per il vostro impegno e continuate con coraggio in questo lavoro!”.
Ma torniamo al Vangelo della domenica. Gesù è con gli apostoli, e promette loro “la venuta dello Spirito che anzitutto insegnerà ai discepoli a comprendere sempre più pienamente il Vangelo, ad accoglierlo nella loro esistenza e a renderlo vivo e operante con la testimonianza”, ricorda Papa Francesco al Regina Coeli. Assicura inoltre che non saranno soli in questa missione di “inviati”.
In questo cammino verso la meta ultima, nella bisaccia da pellegrino dobbiamo avere l’essenziale, ma nello stesso tempo l’indispensabile: innanzitutto la parola da osservare e custodire, quella parola che è Gesù stesso, ricorda ancora Francesco, rivelazione definitiva del Padre. Ecco allora il dono dello Spirito Santo che accompagna per difendere e sostenere: “Lo Spirito ha il compito di risvegliare la memoria, ricordare le parole di Gesù”; e farà ricordare “gli insegnamenti di Gesù nelle diverse circostanze concrete della vita, per poterli mettere in pratica. È proprio ciò che avviene ancora oggi nella Chiesa, guidata dalla luce e dalla forza dello Spirito Santo, perché possa portare a tutti il dono della salvezza, cioè l’amore e la misericordia di Dio”.
Il terzo bene da portare nella bisaccia è la pace donata dal Signore: lo Spirito Santo “ci guida nel modo di pensare, di agire, di distinguere che cosa è bene e che cosa è male; ci aiuta a praticare la carità di Gesù, il suo donarsi agli altri, specialmente ai più bisognosi”.
Nel nostro pellegrinare non mancano rischi, pericoli, ostilità, scelte coraggiose da assumere. La pace che dona Gesù è diversa da quella degli uomini, ricorda ancora Francesco, che lancia un nuovo appello per la fine delle violenze in Siria, ad Aleppo, e ricorda le tante vittime innocenti, soprattutto bambini. La pace del Signore “sgorga dalla vittoria sul peccato, sull’egoismo che ci impedisce di amarci come fratelli”. È dono e segno della presenza di Dio, e tutto può essere affrontato senza paura.
Fabio Zavattaro