La domenica del Papa / Non manager ma servo. È il pastore che va incontro alla sua gente per perdonare

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Sobrietà, solidarietà e umiltà sono le parole chiave che hanno accompagnato il ministero di Jorge Mario Bergoglio quand’era arcivescovo di Buenos Aires. Nelle baraccopoli della capitale argentina, le “villas miserias”, lava i piedi ai malati di Aids, tuona contro quei preti “ipocriti” che “allontanano il popolo di papaciccioDio dalla salvezza” negando il battesimo ai figli “di ragazze sole che non hanno concepito nel matrimonio”. Non si stanca di puntare il dito contro quella che chiama “mondanizzazione spirituale”. Il rischio più grande per la Chiesa, afferma ricordando le parole del grande teologo e cardinale Henri-Marie de Lubac, è quello “di essere autoreferenziale come molte persone di oggi divenute paranoiche e autistiche, capaci di parlare solo a loro stesse”. Ai suoi preti ha sempre raccomandato misericordia, coraggio e porte aperte. Ed è bella l’immagine che usa nella sua prima celebrazione da Papa, il Giovedì Santo: “Il sacerdote celebra caricandosi sulle spalle il popolo a lui affidato e portando i suoi nomi incisi nel cuore. Quando ci rivestiamo con la nostra umile casula, può farci bene sentire sopra le spalle e nel cuore il peso e il volto del nostro popolo fedele, dei nostri santi e dei nostri martiri, che in questo tempo sono tanti”. Il buon pastore è colui che sta in mezzo alla gente, “nelle periferie dove c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni”.

Parole che accompagnano la pagina del Vangelo di Giovanni, la differenza tra il pastore e il mercenario, cioè tra colui che svolge la sua opera per amore, rinunciando al proprio interesse, anche a costo della vita, e chi invece lo fa per interesse personale, per denaro ed è pronto ad abbandonare le pecore al proprio destino nel momento del pericolo.

Il confronto è tra l’amore disinteressato e quella che possiamo definire una congiura degli indifferenti e degli egoisti di fronte ai più poveri e indifesi. Vengono alla mente i volti di coloro che hanno rischiato la vita attraversando su fatiscenti imbarcazioni il tratto di mare che separa il continente africano dall’Europa; le storie di quanti hanno rischiato la vita e di coloro che non vedranno mai le coste cercate e il futuro diverso, lontano da guerre, violenze e povertà.

Cristo, ricorda Papa Francesco al Regina Cæli, si presenta come il “vero e unico pastore del popolo”. A differenza del mercenario, Cristo “è una guida premurosa che partecipa alla vita del suo gregge, non ricerca altro interesse, non ha altra ambizione che quella di guidare, nutrire e proteggere le sue pecore. E tutto questo al prezzo più alto, quello del sacrificio della propria vita”. Dio non ci lascia soli, ricorda ancora Francesco; “è davvero un amore sorprendente e misterioso”, è “l’amore più alto e più puro, perché non è motivato da alcuna necessità, non è condizionato da alcun calcolo, non è attratto da alcun interessato desiderio di scambio”.

Contemplare e ringraziare “non basta”, dice il Papa. Occorre seguire il buon pastore e quanti hanno la missione di guide nella Chiesa, preti, vescovi e Papi, “sono chiamati ad assumere non la mentalità del manager ma quella del servo, a imitazione di Gesù che, spogliando sé stesso, ci ha salvati con la sua misericordia”. Ma non si ferma qui Francesco: il pastore non deve essere un collezionista di antichità. Deve andare incontro alla gente, non essere un amministratore. Andare incontro alla gente, dunque; la prospettiva non è più quella della parabola del buon pastore “che aveva novantanove pecore nel recinto e andò a cercare l’unica che si era smarrita: oggi ne abbiamo una nel recinto e novantanove che non andiamo a cercare”. Ai sacerdoti dice: “Che le vostre omelie non siano noiose”, che “arrivino proprio al cuore della gente”. Nel confessionale si sta per “perdonare, non per condannare”. Pastori che stanno in mezzo alla gente, il loro gregge, ne respirano l’aria, ne comprendono le difficoltà e le speranze, ne condividono i problemi quotidiani. È brutto il pastore, dice ancora Francesco, che vive per piacere a sé stesso, che “fa il pavone”.

Fabio Zavattaro

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