“Al di là del mare”. Dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù si rifugia prima sul monte e poi a Cafarnao, proprio per sfuggire alle folle. Siamo alla vigilia della Pasqua, e, dunque, il tempo è primaverile. La gente attraversa il lago alla ricerca di quel giovane profeta che li ha sfamati e, nello stesso tempo, affascinati con le sue parole. E lo trovano, appunto, al di là del mare.
Bella questa espressione: da un lato ci indica un movimento, il recarsi da una sponda all’altra; ma, a ben vedere, è un invito a guardare oltre il nostro naso, si potrebbe dire, andare al di là delle nostre immediate necessità spesso effimere per un qualcosa di duraturo. È vero, nella Bibbia, e dunque nei Vangeli, il tema del pane è presente e accompagna il pellegrinare del popolo di Israele – la manna termine ebraico “man hu” che corrisponde alla domanda “cos’è” – quel vagare nel deserto, in un ambiente dove scarsissime sono le risorse di cibo. Così il pane, lo abbiamo visto anche domenica scorsa, è importante nella storia dei cristiani perché è proprio il suo spezzare, cioè condividere, che identifica il discepolo; il pane della moltiplicazione, dell’ultima cena. Il pane. E pensare che Gesù, come leggiamo in Matteo, viene accusato di essere “un mangione e un beone”, eppure è proprio lui a insegnare che “non di solo pane vive l’uomo”.
Ed è qui la chiave di lettura di questo brano del Vangelo. La folla lo cerca per il cibo, per quel pane ricevuto; lui lo sa e non corre dietro ai loro desideri, alle richieste, alle mode del momento. È venuto per salvare non per cercare il consenso: mi cercate, dice loro, “non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna”. Come dire: guardare “al di là del mare”. Quelle persone lo seguono per il pane materiale, ricorda all’Angelus Papa Francesco, “non hanno compreso che quel pane, spezzato per tanti, per molti, era l’espressione dell’amore di Gesù stesso. Hanno dato più valore a quel pane che al suo donatore. Davanti a questa cecità spirituale, Gesù evidenzia la necessità di andare oltre il dono, e scoprire, conoscere il donatore”.
Queste folle, afferma il Papa, si sono mosse nella prospettiva delle preoccupazioni quotidiane, del mangiare, vestire; si potrebbe dire, per venire ai nostri giorni, le preoccupazioni del successo, della carriera. Non dovevano perderlo perché li aveva sfamati, in una situazione difficilissima. Ma lui chiede loro di guardare oltre, di cercare il cibo “che rimane per la vita eterna”, cioè, ricorda Francesco, chiede loro di “cercare la salvezza, l’incontro con Dio”. Spiega che l’uomo, oltre alla fame fisica, “porta in sé un’altra fame – tutti noi abbiamo questa fame – una fame più importante, che non può essere saziata con un cibo ordinario. Si tratta di fame di vita, di fame di eternità che lui solo può appagare, in quanto è il pane della vita”. Quelle folle – siamo anche noi stessi – sono preoccupate soprattutto di mantenere ciò che hanno avuto, e non sanno guardare al di là del mare; hanno attraversato il lago, magari rischiando, nella traversata, di trovarsi a fare i conti con una improvvisa tempesta, ma alla fine si sono accontentate di una richiesta semplice, cioè come saziare la propria fame materiale. Gesù, ricorda Francesco all’Angelus, non elimina la preoccupazione e la ricerca del cibo quotidiano, “non elimina la preoccupazione di tutto ciò che può rendere la vita più progredita”. Ma ricorda che “il vero significato del nostro esistere terreno sta alla fine, nell’eternità, sta nell’incontro con lui, che è dono e donatore, e ci ricorda anche che la storia umana con le sue sofferenze e le sue gioie deve essere vista in un orizzonte di eternità, cioè in quell’orizzonte dell’incontro definitivo con lui”.
Se noi pensiamo a questo incontro, “a questo grande dono, i piccoli doni della vita, anche le sofferenze, le preoccupazioni saranno illuminate dalla speranza di questo incontro”.
Fabio Zavattaro