È sulla strada verso Gerusalemme che Gesù incontra un giovane; anzi questi gli corre incontro, si inginocchia e lo chiama “maestro buono”. Un giovane: non ha un nome quell’uomo, è solo un tale ed è molto ricco. Tutto qui, il denaro si è mangiato il suo nome, per tutti è semplicemente il giovane ricco. Nel Vangelo altri ricchi hanno incontrato Gesù: Zaccheo, Levi, Lazzaro, Susanna, Giovanna. E hanno un nome perché il denaro non era la loro identità. Che cosa hanno fatto di diverso questi, che Gesù amava, cui si appoggiava con i dodici? Hanno smesso di cercare sicurezza nel denaro e l’hanno impiegato per accrescere la vita attorno a sé. È questo che Gesù intende: tutto ciò che hai dallo ai poveri. Più ancora che la povertà, la condivisione. Più della sobrietà, la solidarietà.
E lo dice al giovane ricco che si avvicina a lui e lo interroga sulle condizioni per “avere in eredità la vita eterna”, cioè la felicità. Papa Francesco nella sua riflessione all’Angelus ricorda che la vita eterna “non è solo la vita dell’aldilà, ma la vita piena, compiuta, senza limiti”. Che cosa dobbiamo fare per raggiungerla, è la domanda del giovane, e la risposta che riceve riassume i comandamenti “che si riferiscono all’amore del prossimo”.
In questo dialogo c’è il riferimento esplicito alla sequela, cioè come seguire il Signore, come essere suoi discepoli. E nella strada che sale verso Gerusalemme.
Così Francesco, nel brano di Marco, evidenzia tre scene, tre sguardi di Gesù. E c’è una dinamica interessante in questo incontro, che non è attesa ma ricerca. Il giovane corre dal maestro, cioè va da lui a partire da una ricerca personale: non ha nulla da rimproverarsi, rispetta i precetti ma tutto questo è per lui insufficiente. Ecco la domanda, il desiderio di trovare una risposta alla sua sete di pienezza. Ed ecco il primo sguardo di Gesù, “intenso, pieno di tenerezza e di affetto”. Interessante notare che prima di dare una risposta, Gesù, racconta Marco, “fissò lo sguardo su di lui e lo amò”. E gli offre la strada da percorrere, cioè gli ricorda semplicemente la parole di Dio, la via dei comandamenti. Il problema vero, ricordava Benedetto XVI, è che Dio ci ha dato le cose per servircene e gli uomini per amarli, ma noi abbiamo amato le cose e ci siamo serviti degli uomini. Così il giovane ricco, alla risposta di Gesù, si ritira, “ha il cuore diviso tra due padroni: Dio e il denaro, e se ne va triste”. Afferma Francesco: “questo dimostra che non possono convivere la fede e l’attaccamento alle ricchezze”; e così quello slancio iniziale, quel desiderio di compiere un ulteriore passo “si smorza nella infelicità di una sequela negata”.
E siamo al secondo sguardo che il Papa individua, uno sguardo pensoso di avvertimento. A quel giovane Gesù chiede di abbandonare ciò che fino a quel momento ha catturato la sua vita; quanto è difficile, dice, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio. È impossibile agli uomini, impossibile nella prospettiva umana, impossibile lasciare le umane sicurezze: è l’immagine del cammello e della cruna dell’ago.
Ed ecco il terzo sguardo, di incoraggiamento, accompagnato dalle parole: “impossibile agli uomini, ma non a Dio”. Quello che Gesù propone non è tanto un uomo spoglio di tutto, quanto un uomo libero e pieno di relazioni. Libero, e con cento legami. Come nella risposta a Pietro: Signore, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, cosa avremo in cambio? Avrai in cambio una vita moltiplicata. Che si riempie di volti. Seguire Cristo non è un discorso di sacrifici, ma di moltiplicazione: lasciare tutto ma per avere tutto; “si rinuncia al possesso e si ricava la gioia del dono”. Il Vangelo chiede la rinuncia, ma solo di ciò che è zavorra: la scoperta che il vivere semplice e sobrio spalanca possibilità inimmaginabili. Il giovane non si è lasciato conquistare dallo sguardo di amore di Gesù, e così non ha potuto cambiare. Il denaro, il piacere, il successo abbagliano, ma poi deludono: promettono vita, ma procurano morte. Il Signore ci chiede di distaccarci da queste false ricchezze per entrare nella vita vera, la vita piena, autentica, luminosa”.
Fabio Zavattaro