La domenica del Papa / Senza gli altri non si può. È la chiave di interpretazione della Santissima Trinità

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“Siamo chiamati a vivere non gli uni senza gli altri, sopra o contro gli altri, ma gli uni con gli altri, per gli altri, e negli altri”. Sintesi efficace del Papa gesuita per illustrare la festa della Santissima Trinità, mistero dell’unico Dio nella comunione di “persone divine le quali sono una con l’altra, una per l’altra, una nell’altra”. Difficile per noi capire il mistero della Trinità, di un Dio che si fa papauomo per amore. Difficile anche per i padri della chiesa, teologi e esegeti che nel corso della storia hanno impegnato tanto tempo nella riflessione e nella preghiera e versato fiumi di inchiostro per cercare di spiegare un Dio che è comunione di tre persone, talmente legate l’una all’altra da essere una sola.
Ma proprio qui c’è la chiave per capire questo mistero: “Gesù ci ha rivelato questo mistero – ricorda Francesco all’Angelus – lui ci ha parlato di Dio come Padre; ci ha parlato dello Spirito; e ci ha parlato di sé stesso come figlio di Dio. E così ci ha rivelato questo mistero”. Nella memoria tornano le parole del secondo capitolo della Genesi, al numero 18: “non è bene che l’uomo sia solo”. L’uomo non è stato creato a immagine di un Dio solitario, ma di un Dio amore. Cristo con la sua presenza in mezzo a noi porta a compimento quanto leggiamo nell’Antico Testamento – è la prima lettura domenicale tratta dal Deuteronomio – e cioè di un Dio che parla dal fuoco, che sceglie “una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie”. E ci dice che sin dall’inizio ha messo la tenda in mezzo a noi, liberandoci dalle schiavitù che ci opprimono.
In un tempo in cui lo stare assieme spesso diventa un esercizio impossibile, segnati come siamo dalle nostre individualità, separati dagli altri che non siamo capaci di comprendere e per questo, come difesa, innalziamo muri e frontiere, Dio ci dice, nelle tre persone, che siamo chiamati a essere comunità, famiglia.
Gesù si lascia avvicinare da coloro che erano considerati peccatori, anzi mangia con loro condividendo qualcosa che era determinante e sacro per gli ebrei: la tavola. Mangiare insieme significava celebrare comunione con Dio, vivere una amicizia con quanti sedevano alla stessa tavola. Spezzando assieme il pane si fa dell’altro un compagno: cum panis.
E se pensiamo all’ultima cena, a un Gesù che non si tira indietro e mangia con colui che lo tradirà, abbiamo l’immagine di questa comunità che cammina assieme, pur nelle difficoltà.
Proprio la festa della Santissima Trinità “ci rinnova la missione di vivere la comunione con Dio e vivere la comunione tra noi sul modello della comunione divina”, dice Papa Francesco; ci chiede di “vivere l’amore reciproco e verso tutti, condividendo gioie e sofferenze, imparando a chiedere e concedere perdono, valorizzando i diversi carismi sotto la guida dei pastori. In una parola, ci è affidato il compito di edificare comunità ecclesiali che siano sempre più famiglia, capaci di riflettere lo splendore della Trinità e di evangelizzare non solo con le parole, ma con la forza dell’amore di Dio che abita in noi”. L’amore è la forza che il Signore dona all’uomo, e che permette di mettere da parte le ferite dell’ingiustizia, della sopraffazione, della guerra, della violenza, dell’odio. “Tutto, nella vita cristiana, ruota attorno al mistero trinitario e viene compiuto in ordine a questo infinito mistero”, afferma ancora Papa Francesco. Questo mistero è messo bene in evidenza, dice ancora il vescovo di Roma, “ogni volta che facciamo il segno della croce”: un invito che il Papa propone ai fedeli presenti in piazza san Pietro, chiedendo a tutti di fare il segno della croce. Bella consuetudine che evidenzia come non siamo mai soli. E l’Anno della Misericordia, che il Papa ci invita a vivere a partire dal prossimo 8 dicembre, vuole proprio essere l’occasione per stare accanto a chi soffre, e si trova in difficoltà. E non è un caso che Papa Francesco chieda a Maria “di aiutare la Chiesa ad essere mistero di comunione e comunità ospitale, dove ogni persona, specialmente povera ed emarginata, possa trovare accoglienza e sentirsi figlia da Dio, voluta e amata”.

Fabio Zavattaro

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