La domenica del Papa / Sette volte misericordia, quella del Dio che “ci ama di amore gratuito e sconfinato”

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Per sette volte torna la parola misericordia nell’angelus che Papa Francesco pronuncia in questa domenica di Quaresima. E forse non potrebbe essere diversamente. Siamo a metà del tempo liturgico che ci accompagna alla Pasqua, e l’invito che ci viene dalle letture è di speranza. Certo non mancano le difficoltà e i problemi, ma proprio lo sguardo rivolto a quella domenica che ha segnato la vittoria della vita sulla morte non può non essere motivo per misericordiarallegrarci. La vittoria del bene sul male deve risuonare ovunque, e in particolare per quei popoli che sono vittime di guerre e violenze; per i poveri e le persone sole e abbandonate. È importante, in questo tempo, ridare speranza anche là dove violenza e aggressività rischiano di stravolgere la vita delle persone.

Le parole di Gesù a Nicodemo ci aiutano a vivere nella speranza questo tempo di attesa della Pasqua, della resurrezione: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il figlio unigenito”, leggiamo nel Vangelo di Giovanni. Dio ci ama, ricorda Papa Francesco, “ci ama di amore gratuito e sconfinato”.

Misericordia è anche la parola chiave dell’Anno Santo che il Papa aprirà il prossimo 8 dicembre. La stessa parola che sceglie Papa Roncalli, aprendo il Concilio, 11 ottobre 1962, per dire il compito che spetta alla Chiesa, la quale, di fronte alle difficoltà del tempo e alle sfide che si trova a vivere “preferisce usare la medicina della misericordia invece d’imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando”.

Ed è in questa chiave che va letto il cammino che Papa Francesco propone con l’Anno Santo straordinario. E c’è un’altra assonanza tra Roncalli e Bergoglio. Il primo quando venne eletto, il 28 ottobre 1958, quasi tre mesi dopo annuncerà in San Paolo il Concilio Vaticano II, lasciando in un “impressionante, devoto silenzio”, come lui stesso scrive, i cardinali presenti. E lo annuncia, scrive padre Martin Werlen, monaco all’abbazia di Einsiedeln, perché si rese conto di trovarsi di fronte a un “mucchio di cenere”. Così si pose davanti alla situazione della Chiesa e del mondo “pronto a rovistare sotto la cenere per trovare la brace – il dono della fede – e pronto a trasmetterla agli uomini del nostro tempo; pronto ad ascoltare quel che Dio vuole dire oggi, per ravvivare la fiamma di quel fuoco”. Francesco legge in modo analogo il tempo che la Chiesa vive e la chiama a una rinnovata missionarietà. Inoltre, è il Papa che cita spesso Papa Montini, il quale conclude il Concilio, l’8 dicembre 1965, cinquanta anni fa, consegnando a governanti, intellettuali, artisti, donne, lavoratori, poveri e ammalati, e ai giovani i messaggi dei padri conciliari; e lo fa dal sagrato della basilica di San Pietro, per indicare una Chiesa in uscita, che guarda al mondo e si rivolge agli uomini e donne del tempo. Una Chiesa, scriveva Paolo VI, che “deve farsi dialogo, conversazione”, che deve guardare “con immensa simpatia al mondo perché, se anche il mondo sembra estraneo al cristianesimo, la Chiesa non può sentirsi estranea al mondo, qualunque sia l’atteggiamento del mondo verso la chiesa”.

Così all’Angelus, Papa Francesco torna sulla misericordia, ricordando che il Signore non ha abbandonato l’uomo quando per disobbedienza ha perso l’amicizia con Dio, non l’ha lasciato “in potere della morte, ma nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro”. Come nella creazione, “anche nelle tappe successive della storia della salvezza risalta la gratuità dell’amore di Dio”.

Con san Paolo, Francesco ricorda che Dio “è ricco di misericordia” e proprio “per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo. La Croce di Cristo – ricorda ancora Papa Francesco – è la prova suprema della misericordia e dell’amore di Dio per noi: Gesù ci ha amati “sino alla fine”, cioè non solo fino all’ultimo istante della sua vita terrena, ma fino all’estremo limite dell’amore”.

Fabio Zavattaro

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