Gerusalemme vive l’attesa della Pasqua. Uomini e donne affollano le strade della città. Sono gli ultimi giorni terreni di Gesù e domenica prossima racconteremo la sua entrata nella città santa, accolto e salutato da giovani e meno giovani che agitano con le mani le palme. Pochi giorni ancora, poche ore, e sarà tradito, catturato, condannato a morte. E, cosa ancora più importante, dopo tre giorni il suo sepolcro sarà trovato vuoto, la pesante pietra rotolata. Ma in questa quinta domenica di Quaresima siamo ancora nel tempo che precede e ci prepara al grande mistero della morte e della resurrezione.
È la terza e ultima Pasqua vissuta da Gesù a Gerusalemme; i sommi sacerdoti hanno già deciso la sua sorte, hanno già costruito quel percorso che lo porterà a salire il Golgota. È giunta la sua ora – “è venuta l’ora che il figlio dell’uomo sia glorificato” – è il tempo in cui la sua vita terrena si avvia a conclusione; ma Gesù ha la capacità di vedere nella sua morte il disegno del Padre. Giovanni ci fa cogliere alcuni aspetti significativi a partire dalla richiesta di alcuni greci – accadeva che in occasione di una grande festa nella città salissero anche dei greci, non ebrei, e dunque dei pagani – rivolta a Filippo e Andrea di vedere Gesù. Avevano certamente sentito parlare di lui, del suo agire, del suo modo autorevole di rivolgersi a dotti e sacerdoti, ma anche di guardare con amore verso i poveri, i sofferenti: quanto scalpore deve aver fatto la resurrezione di Lazzaro. Oggi diremmo che Gesù era un uomo di successo, da copertina dei settimanali patinati. Un successo che inquietava il mondo religioso che aveva cercato in tutti i modi di screditarlo. “Il mondo è andato dietro di lui” dicono i farisei, leggiamo in Giovanni; bisognava prendere dei provvedimenti per impedire la crescita del movimento nato attorno alla sua persona.
“Vogliamo vedere Gesù”. “Nella città santa, dove Gesù si è recato per l’ultima volta, c’è molta gente. Ci sono i piccoli e i semplici, che hanno accolto festosamente il profeta di Nazareth” ricorda Papa Francesco all’Angelus. “Vogliamo vedere Gesù”. Queste parole, per Papa Francesco, “vanno al di là dell’episodio particolare ed esprimono qualcosa di universale; rivelano un desiderio che attraversa le epoche e le culture, un desiderio presente nel cuore di tante persone che hanno sentito parlare di Cristo, ma non lo hanno ancora incontrato”. Quei greci del racconto evangelico sono i non ebrei, i non credenti, i pagani. Perché l’incontro con il Cristo non è solo per chi crede. Ed è interessante notare che Filippo – un nome greco e dunque è visto da coloro che a lui si rivolgono come un possibile interprete se non proprio amico – va da Andrea, altro nome greco, preoccupato perché non era cosa possibile, che un “rabbi” incontrasse dei non credenti: non è conforme alla legge. Gesù non ha le stesse preoccupazioni dei suoi discepoli, sa guardare oltre e capisce che la domanda è una profezia: tutti possono incontrarlo; anche chi è in ricerca. E chi non crede può diventare un suo discepolo.
È giunta la sua ora. Quell’ora che a Cana il giorno delle nozze, del suo primo miracolo, non era ancora giunta; così nel giorno dell’incontro con la samaritana al pozzo di Giacobbe. L’ora per cui si è fatto uomo è giunta. È l’ora della morte sulla croce, ma soprattutto è l’ora della gloria. Sarà innalzato da terra: “Innalzato perché crocifisso, e innalzato perché esaltato dal Padre nella Risurrezione, per attirare tutti a sé e riconciliare gli uomini con Dio e tra di loro. L’ora della Croce, la più buia della storia, è anche la sorgente della salvezza per quanti credono in Lui. Ecco l’immagine del chicco di grano, che “muore per portare frutto”. La vera morte è la sterilità di chi non spende la propria vita, ma vuole conservarla gelosamente. La “fecondità della croce”, dice Papa Francesco: “La morte di Gesù, infatti, è una fonte inesauribile di vita nuova, perché porta in sé la forza rigeneratrice dell’amore di Dio”. Vedere Gesù è incontrare chi ha dato tutto se stesso per noi; è invito a seguirlo nella “coerenza tra la nostra fede e la nostra vita, tra le nostre parole e le nostre azioni”.
Fabio Zavattaro