Volete andarvene anche voi? Terribile domanda che il Signore rivolge agli apostoli che lo stavano seguendo. In questa domenica il Vangelo di Giovanni porta a conclusione il lungo discorso sul pane di vita, iniziato sul lago con la moltiplicazione dei pani e dei pesci. È un cammino essenziale, quasi una seconda Pasqua, per capire il senso della testimonianza cristiana. Quanto è difficile accettare la parola di Gesù, quanto ci mette in difficoltà ogni volta che l’ascoltiamo. Nel suo discorso aveva detto di essere “il pane disceso dal cielo, e che avrebbe dato la sua carne come cibo e il suo sangue come bevanda, alludendo così chiaramente al sacrificio della sua stessa vita”, come ricorda Francesco all’Angelus. Parole che suscitano delusione nella gente, “persino i discepoli non riescono ad accettare quel linguaggio inquietante del maestro”.
Le mormorazioni… La parola è dura, chi può ascoltarla. Nella vita di ogni giorno è facile tornare indietro, scegliere di seguire una scorciatoia più comoda, le nostre comode convinzioni, in un mondo in cui tutto viene considerato relativo. È l’immagine della società liquida di Bauman, una vita frenetica e costretta ad adeguarsi al gruppo per non sentirsi esclusa. Un grande teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, nel celebre sermone su Geremia, in un tempo in cui la Germania stava vivendo l’occupazione del potere da parte di Hitler prima dell’esplosione del secondo conflitto mondiale, parlava del profeta come di chi è prigioniero di Dio: “è la via dell’uomo che Dio non lascia più libero, che non si libera più di Dio”. Parole forti, intessute della sua vicenda personale che lo avrebbe portato a morire nei campi di concentramento nazisti. Parole che hanno un richiamo: essere discepoli significa seguire, Gesù, stare con lui, ascoltarlo; essere sempre con lui, che mai ci abbandona. Come ricorda Francesco, “legarsi a lui, in un vero rapporto di fede e di amore, non significa essere incatenati, ma profondamente liberi, sempre in cammino”.
Spesso alle prime difficoltà ci tiriamo indietro. Abbandonare appunto; ma la parola del credente è servire, perché la fede non è un insieme di nozioni, ma una parola che si fa vita, ascolto, obbedienza, servizio, appunto. La differenza cristiana, come ricorda padre Enzo Bianchi, priore di Bose, è proprio l’ascolto della parola di Dio che lo trasforma “e lo rende eloquente nella compagnia degli uomini, lo abilita a mostrare l’evangelo vissuto, fatto carne e vita”.
Ma torniamo al discorso di Gesù. I discepoli lo avevano capito bene, dice il Papa ai fedeli, talmente bene “che non vogliono ascoltarlo, perché è un discorso che mette in crisi la loro mentalità. Sempre le parole di Gesù ci mettono in crisi, per esempio davanti allo spirito del mondo, alla mondanità”. Gesù “non fa sconti e non attenua le sue parole, anzi costringe a fare una scelta precisa: o stare con lui o separarsi da lui, e dice ai dodici: volete andarvene anche voi?”. Ed ecco la sorpresa della confessione di Pietro, dieci parole importanti: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. Il problema di fondo – ricorda Papa Francesco – non è andare e abbandonare l’opera intrapresa, ma è da chi andare. Da quell’interrogativo di Pietro, noi comprendiamo che la fedeltà a Dio è questione di fedeltà a una persona, con la quale ci si lega per camminare insieme sulla stessa strada. E questa persona è Gesù”.
Le parole di Pietro sono la professione di fede di un uomo che ha trovato nel Signore il senso della sua vita. Perché, come ricorda Francesco, “tutto quello che abbiamo nel mondo non sazia la nostra fame d’infinito”. Credere nel Signore “significa fare di lui il centro, il senso della nostra vita. Cristo non è un elemento accessorio: è il pane vivo, il nutrimento indispensabile”. Si rivolge ai fedeli: “chiedetevi chi è Gesù per me? È un nome, un’idea, soltanto un personaggio storico? O è veramente quella persona che mi ama che ha dato la sua vita per me e cammina con me?”
Fabio Zavattaro