La domenica del Papa / Attesa, pazienza e liberazione. Avvento come “invito alla vigilanza”, perché non sappiamo quando il Signore verrà

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Vero lungo inverno del mondo, il tempo di Avvento per padre David Maria Turoldo, “tempo del desiderio,755x491xor151108130017_0062-755x491-jpg-pagespeed-ic-dbyzi4prh3 tempo di nostalgia e ricordi” scrive; “tempo di solitudine, e tenerezza, e speranza”. Così si legge nella poesia dedicata al Natale, che prosegue: nella “nostra notte” arriva il Signore e “le cose di prima passarono, e sarà tersa ogni lacrima dai nostri occhi, perché anche la morte non sarà più. E una nuova città scenderà dal cielo, bella come una sposa, per la notte d’amore”. Che immagine suggestiva ci ha regalato padre Turoldo per descrivere l’Avvento, questo “tempo del concepimento di un Dio che ha sempre da nascere”. Tempo di attesa, dunque, per “la visita del Signore all’umanità”, dice Papa Francesco all’Angelus. E la parola chiave è speranza, ricorda Benedetto XVI: “la porta oscura del tempo, del futuro è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente, gli è stata donata una vita nuova”. Nel tempo di avvento, tempo del “già e non ancora”, la speranza è in quella nascita che rende nuove tutte le cose.
Parlando alle persone presenti in piazza san Pietro, in questa prima domenica di Avvento, Francesco ricorda che il brano del Vangelo di Matteo ci parla dell’ultima visita del Signore che avverrà alla fine dei tempi: “la Parola di Dio fa risaltare il contrasto tra lo svolgersi normale delle cose, la routine quotidiana, e la venuta improvvisa del Signore”. Così leggiamo: “come nei giorni che precedettero il diluvio, mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti”. Non si tratta di un invito ad avere paura, “ma aprire il nostro orizzonte alla dimensione ulteriore, più grande, che da una parte relativizza le cose di ogni giorno ma al tempo stesso le rende preziose, decisive”. L’Avvento è proprio questo, fare del nostro tempo un luogo di attesa, dando ad ogni attimo, relazione, espressione più quotidiana della nostra vita una luce diversa. Da questa prospettiva “viene anche un invito alla sobrietà, a non essere dominati dalle cose di questo mondo, dalle realtà materiali, ma piuttosto a governarle. Se, al contrario, ci lasciamo condizionare e sopraffare da esse, non possiamo percepire che c’è qualcosa di molto importante: il nostro incontro finale con il Signore, e questo è l’importante”.
L’attesa è fatta di pazienza e di liberazione; l’attendere “è una dimensione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale”. Si attende un figlio, un parente, un amico che viene da lontano; si attende l’esito di un esame, di un colloquio di lavoro; si attende la persona amata. La prospettiva dell’attesa si trasforma, diceva Papa Benedetto XVI, e “l’uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l’uomo si riconosce: la nostra statura morale e spirituale si può misurare da ciò che attendiamo, da ciò in cui speriamo”.
L’Avvento ci dice anche che il tempo della paziente attesa è finito, ed è giunto ora il tempo della liberazione che si rende palese in quel fanciullo che troveremo nella mangiatoia di Betlemme. È nella pazienza che l’uomo può custodire la propria vita; ed è la speranza che rende l’attesa paziente un tempo per capire, per discernere, e per trovare la strada lungo la quale incamminarsi. Un tempo per vigilare e essere pronti non perché si conosce l’ora in cui il Signore verrà, ma essere pronti perché verrà nell’ora che non conosciamo. È l’immagine che troviamo in Matteo del ladro che viene di notte. Avvento, dunque, come “invito alla vigilanza”, perché non sapendo quando il Signore verrà, ricorda Papa Francesco all’Angelus, “bisogna essere sempre pronti a partire”. In questo tempo “siamo chiamati ad allargare l’orizzonte del nostro cuore, a farci sorprendere dalla vita che si presenta ogni giorno con le sue novità. Per fare ciò occorre imparare a non dipendere dalle nostre sicurezze, dai nostri schemi consolidati”. Perché il Signore viene nell’ora in cui l’anima è chiusa, per aprirla e spalancare la porta della speranza: dobbiamo essere pronti.

Fabio Zavattaro