“Tra cinque minuti in scena”, opera prima della regista italiana Laura Chiossone
Anna e Gianna sono madre e figlia. Anna è un’ultranovantenne ormai alla fine della vita, cieca e immobilizzata, anche se ancora capace di scherzare. Gianna è una donna ancora bella, attrice teatrale, che si dedica con amore e totalmente alla madre inferma. La loro storia è il soggetto di “Tra cinque minuti in scena”, opera prima della regista italiana Laura Chiossone, e ha una particolarità unica: la storia che racconta non è una finzione, Anna e Gianna sono veramente madre e figlia e il film ne mette in scena la vita quotidiana. È un qualche cosa di straordinario perché nella pellicola si respira veramente un’atmosfera intima, in cui sembra non esserci la presenza di una macchina da presa ma in cui ci pare di assistere dal vivo a una scena di tutti i giorni. Un’opera che si prende i suoi tempi, che ha i suoi ritmi, che sono quelli della vita: il preparare da mangiare alla madre, il lavarla la mattina, leggerle le riviste, canticchiare con lei. La regista s’inserisce nella routine della relazione di queste due donne e con rispetto ce la racconta sul grande schermo. Insieme a questo livello quasi documentaristico, il film offre anche altri due livelli: uno è quello che riguarda la pièce teatrale che Gianna sta recitando e che dovrebbe andare in scena in un teatro a Milano, una pièce che Gianna interpreta con altri attori e che racconta il rapporto tra una figlia e una madre non più autonoma (così a raddoppiare la tematica del film); e poi un terzo livello che riguarda la storia d’amore, fragile e delicata, appena accennata, tra Gianna e un altro attore della compagnia teatrale. Questi tre livelli s’intersecano e si annodano in tutta la pellicola senza mai appesantirla, donandole invece una bella complessità linguistica e narrativa. Ma la vera forza del film sta nella storia di Anna e Gianna, nel loro rapporto d’affetto, così pieno di difficoltà. Un film sulla vecchiaia, sulla relazione madre-figlia, sul dono gratuito di sé. “La considero un’opera sulla resilienza, cioè sulla capacità umana di trovare risorse interiori anche davanti alle difficoltà estreme”, ha detto la regista, che ha iniziato a pensare al film nel momento in cui l’attrice Anna Coletti, di cui era amica, le ha iniziato a inviare delle mail, molto tragiche ma anche piene di ironia, sul suo rapporto con la madre anziana. Il film mantiene questa ironia, grazie anche alla personalità delle sue protagoniste: una madre e una figlia capaci di rendere leggere anche le situazioni più pesanti, svelandocene anche le inaspettate bellezze. L’esperienza con Gianna e Anna Coletti è continuata dopo il film con un blog (www.mammaacarico.com) in cui la figlia attrice e la madre in difficoltà continuano a descriversi con l’aiuto della regista, come se l’esperienza della vita e dei sentimenti non finisse mai, se supportata dal valore della testimonianza. “Volevo parlare della vecchiaia – dice la Chiossone – dell’accompagnamento alla morte attraverso il puro amore: momenti che ho cercato di raccontare con sincerità e leggerezza, evitando la retorica”. Una sfida per un film di un esordiente: raccontare temi tabù come la morte, la malattia e la vecchiaia, che la nostra società tende a eliminare, alla ricerca dell’eterna gioventù. Una sfida vinta, anche se, visto che la pellicola verrà distribuita da una piccola casa di produzione cinematografica, magari sarà vista da pochi spettatori. Un peccato.
Paola Dalla Torre