In vista dell’Otto Marzo, Festa della donna, tornano d’attualità alcuni temi propri della questione femminile. Tra questi, la conciliazione tra famiglia e lavoro, di grande impatto nella società contemporanea, rappresenta una sfida importante e centrale per le politiche sociali, del lavoro e delle pari opportunità a livello nazionale ed europeo.
Finché la società prevedeva un modello familiare e del lavoro basati sulla divisione di genere, la donna era sicuramente l’elemento che permetteva di conciliare i due ambiti, in quanto la sua completa gestione della vita domestica e della cura dei figli rendeva l’uomo libero da impegni familiari.
Il progressivo inserimento della donna nel mondo del lavoro e la sua partecipazione allo sviluppo economico e sociale del suo Paese pongono la questione del lavoro di pertinenza specifica delle politiche sociali e per le pari opportunità, il cui impegno si traduce in tutela della sfera privata del lavoratore e della lavoratrice e nella individuazione di azioni concrete che consentano ad essi di assolvere alle responsabilità familiari.
La conciliazione dei tempi di vita e di lavoro è un tassello importante e un fattore strategico per la famiglia e l’occupazione femminile, attraverso una visione integrata nella quale, welfare, sviluppo, occupazione sono fattori imprescindibili di equità sociale.
Il presupposto è che flessibilità e conciliazione sono elementi tra loro collegati ed intrecciati aventi in comune la caratteristica di rendere più fluida l’organizzazione del lavoro e rispondere ai repentini cambiamenti in atto nella società e nel mercato del lavoro.
Rispetto ad un passato nel quale il tema era considerato una “questione di donne” ed era prevalente la convinzione che la leva economica fosse il principale incentivo per supportare la produttività delle persone, oggi si guarda alla conciliazione da un angolo prospettico diverso, senza dubbio trasversale e orientato al benessere della vita familiare.
In Italia la normativa cardine in materia è rappresentata dalla legge 8 marzo 2000, n. 53 che, oltre a introdurre i congedi parentali, favorendo un maggior coinvolgimento dei padri nella cura dei figli, ha focalizzato l’attenzione delle Regioni e degli enti locali sull’importanza di riorganizzare i tempi delle città ed ha promosso, tramite l’art. 9, la sperimentazione di azioni positive per la conciliazione sul luogo di lavoro, sensibilizzando in tal senso aziende e parti sociali. Ciò attraverso una visione integrata, politiche sociali e contrattuali a sostegno della conciliazione e l’implementazione di soluzioni innovative tanto di tipo normativo che organizzativo.
L’obiettivo è promuovere dei servizi educativi di supporto all’infanzia e alla famiglia, favorendo il work life balance, che rappresenta una delle motivazioni principali della fuoriuscita delle donne dal mercato del lavoro dopo la nascita dei figli.
Una necessità, questa, che è anche una priorità in campo europeo dove l’Italia è ancora fanalino di coda rispetto agli altri Paesi.
L’Europa, infatti, pone agli Stati membri due significativi traguardi da raggiungere: la condizione imprescindibile di crescita del nostro sistema economico, che passa attraverso la valorizzazione delle donne lavoratrici così come avviene nel resto d’Europa, e i servizi per la prima infanzia, ad oggi, accessibili solo al 33% dei bambini nella fascia 0-3 anni.
Il valore di riferimento delle politiche di conciliazione resta la maternità.
In Italia la crisi economica, la disoccupazione hanno come effetto un tasso di natalità vicinissimo allo zero e, in questo clima di incertezza dello stato sociale, per le future generazione è ancora più difficile pensare di essere genitori.
La maternità non è una “scelta” ma un dono da condividere con la società.
La maternità non può essere a totale carico della famiglia, la lavoratrice-madre deve essere titolare di diritti di protezione sociale e deve essere sostenuta economicamente; la stessa riserva del posto di lavoro è spesso solo un’opportunità formale, in quanto il reintegro dopo il parto è inevitabilmente problematico se non facilitato ed agevolato da ritmi e orari concilianti con gli impegni familiari.
Il caso estremo è rappresentato dalle lavoratrici autonome o libere professioniste, per le quali non è previsto dalla legge alcun periodo di astensione obbligatoria per maternità.
E’ necessario infrangere le “barriere invisibili”, psicologiche, culturali, sociali, che ostacolano di fatto il cammino equilibrato del genere umano.
L’occasione che ci viene offerta in questa giornata, che è “memoria” per il genere umano, il sacrificio di 129 donne, madri, figlie, che hanno donato la loro vita per un diritto: l’acquisizione di una parità di genere ed una equa considerazione economica.
La storia va rivisitata nel contesto in cui gli avvenimenti accadono e, a memoria del Vigo, essa in forma diversa si ripete. Le nuove generazioni sono oggi alla ricerca di dare un senso alla propria vita; allora l’8 marzo 2017 si presenta quale occasione per provare a capire come non solo i super eroi fanno la storia, ma la storia sono le persone che ogni giorno fanno il loro dovere, provando gioia nei gesti e nel proprio lavoro, ecco perché raccontare la storia di cinque donne, raccontata in altrettante interviste, sono ciascuna un “dono” particolare in termini di esempio positivo e di operosità.
Margherita Ferro
Da oggi pubblichiamo alcune riflessioni e una serie di interviste con personaggi che ci fanno riflettere sul ruolo della donna nella società.