“Figlio della luce è, già da ora, Paolo, perché su di lui risplende la luce del volto del Signore. E questa illuminazione è per lui proprio come un battesimo. Lui che sta per diventare l’apostolo del Risorto presso le genti, apre le sue mani imitando il gesto di Gesù sulla croce, nascendo e morendo con lui: ‘Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me’. La cecità di Paolo, come dice san Giovanni Crisostomo, è diventata luce per il mondo”.
Non è l’interpretazione di un passo delle Scritture, ma di un quadro di Caravaggio, la “Conversione di Saulo”, conservato nella chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma, a dimostrazione di come l’incontro tra discipline diverse possa arricchire di suggestioni profonde la conoscenza di un’epoca e dei suoi artisti. Il brano citato si trova all’interno di “Caravaggio. La luce e le tenebre” (Ancora, 269 pagine) di Luca Frigerio, giornalista e autore di servizi televisivi sul nostro patrimonio artistico, che in qualche modo chiude la lunga serie di eventi rampollati dal quarto centenario della morte del grande pittore lombardo.
Il libro non è né un catalogo né un mero saggio critico, ma, come si accennava, un contributo di “confine”, tra critica iconografica, biografia, psicologia e letteratura sacra; è uno studio che entra di diritto in quella comparativistica che in Italia è considerata ancora con sospetto da parte dei “puristi”, ma che fuori da molto tempo permette feconde indagini sullo spirito complessivo di alcune epoche.
Le parole di Frigerio che abbiamo citato in apertura sono comprese in un capitolo dal titolo emblematico: “Natività a Damasco”. Ma come, Damasco non è il luogo dove Saulo cade folgorato, tanto da divenire luogo comune per indicare coloro che vengono colpiti all’improvviso dalla fede? Frigerio è convinto che si tratti di una scena di natività, ma in senso figurale: in realtà il “dies natalis” vero di quello che è divenuto l’apostolo delle genti è stato non il suo venire al mondo, ma la sua caduta. Non si può nascere alla vera vita senza morire, e tutta la cultura umana reca questa impronta, dal chicco evangelico all’inferno di Dante fino alla “Terra desolata” di Eliot.
Il taglio del volume è dunque quello interdisciplinare o comparativistico: a partire dalle opere di Michelangelo Merisi, precisamente undici, si inizia un cammino interpretativo attraverso suggestioni provenienti dall’arte più antica, dalle Scritture, dalla cultura coeva, dalla situazione della committenza e da quegli inevitabili orizzonti psicologici che si profilano ad ogni interpretazione critica.
Si prenda, ad esempio, il capitolo dedicato alla stupefacente “Madonna dei pellegrini”, custodita nella chiesa di Sant’Agostino a Roma: qui (come in tutto il libro) lo studioso propone intanto il quadro, intero e in alcuni particolari, con una fotografia nitida e di alto livello, in grado di far cogliere tutti i particolari; poi documenta quali potrebbero essere state le basi iconografiche dell’opera, soprattutto l’antica immagine lignea (XIV secolo) purtroppo distrutta da un incendio nel 1921 e le stampe cinquecentesche che rappresentavano la Vergine e il Bambino sopra la casa di Loreto, oltre che modelli più lontani nel tempo; infine, sulla base dell’analisi di alcuni particolari, approfondisce una serie di elementi figurativi che hanno rispondenze profonde con la psiche dell’artista. L’attenzione del critico si sposta presto, (troppo ci sarebbe ancora da dire su quella splendida, modernissima – ancora oggi – Madonna), sui due pellegrini, probabilmente il marchese Cavalletti e sua madre, riaprendo la vecchia querelle sull’iper-realismo caravaggesco: “Sì, ancora di questi piedi scalzi e sporchi bisogna parlare. Perché questi, ‘ritratti’ con provocatorio realismo da Caravaggio, sono in fondo quelli stessi che Gesù volle lavare nell’ultima cena, quale lezione di umiltà e di amore, virtù fondamentali della vita cristiana. Ma sono anche quelli di san Filippo Neri e di sant’Ignazio di Loyola, pronti a girare fra la gente a piedi nudi, senza vergogna né timore di scandalo, se questo poteva servire a salvare qualche anima”.
Tutte le opere sono affrontate con questa capacità di sondare aspetti profondi della complessa figura del Merisi anche attraverso indagini brevi ma sicure sugli aspetti della vita di allora, soprattutto gli elementi puristi e pauperistici della Riforma cattolica, cui bisognerà aggiungere la spiccata empatia dell’autore verso il “suo” Caravaggio, che lo porta a considerare le possibili giustificazioni di risse, duelli, omicidi che porteranno l’artista in giro per il Mediterraneo, in balia delle tempeste del mare, del destino e soprattutto del suo istinto.
Marco Testi