La Pasqua dei cristiani / Celebrarla insieme è una necessità. L’invito del Papa è una grande spinta

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L’accordo per una celebrazione unitaria fu delineato nel 1997 ad Aleppo: riaffermare le norme stabilite dal primo Concilio ecumenico di Nicea (325) secondo le quali la Pasqua deve cadere nella domenica che segue la prima luna di primavera e calcolare la data astronomica (equinozio di primavera e luna piena) con gli strumenti scientifici più accurati, basando il calcolo sul meridiano di Gerusalemme.

In maniera insolita e inaspettata e con un’espressione spontanea e alquanto sferzante, papa Francesco ai Pasqua insiemepartecipanti al III ritiro mondiale dei sacerdoti, promosso dall’International Catholic Charismatic Renewal Services (Iccrs) e dalla Catholic Fraternity, ha detto che con gli ortodossi siamo riusciti a litigare sulla diversità della data della Pasqua e ha ridicolizzato il fatto immaginando un incontro tra un ortodosso e un cattolico; domanda e risposta: “Il tuo Cristo è risorto? Il mio invece risorge la settimana prossima”.

La celebrazione unitaria della cristianità intera della Pasqua, infatti, avviene di rado e solo per coincidenza di fatti astronomici che qui sarebbe difficoltoso spiegare (e chi scrive non sarebbe in grado di farlo). La prossima data comune dovrebbe essere il 16 aprile 2017 e solo eccezionalmente coincide. La diversità della data dipende da calcoli riferiti a due diversi calendari adottati, il calendario riformato gregoriano, opera di papa Gregorio XIII (1582) secondo criteri puramente astronomici e non confessionali, che però non è stato accettato dal mondo ortodosso che ha continuato a fare calcoli con il vecchio calendario lunare chiamato giuliano, proprio da Giulio Cesare, piuttosto “datato” e non conforme a calcoli più esatti. (Qualcuno malignamente ha detto che si è preferito contraddire l’astronomia che andare d’accordo con il Papa). La questione della data della Pasqua, in realtà, con modalità e motivazioni diverse ha attraversato la storia della cristianità fin dall’inizio della Chiesa nascente e ciò che fa pensare e profondamente colpisce, come ha notato papa Francesco, è il dato che i cristiani nonostante vari tentativi non sono riusciti a trovare una soluzione.

Probabilmente al fondo c’è la convinzione che la data è meno importante del fatto che Cristo è morto e risorto: l’evento della risurrezione travalica ogni confinamento rituale o di calendario, essendo di portata cosmica ed eterna. L’evento conta più che il giorno e l’ora in cui si ricorda e si celebra.

Tuttavia, celebrare insieme, tutti i cristiani, e proclamare al mondo ad una sola voce, in un determinato giorno del calendario universale che “Cristo è risorto, è veramente risorto!”, in convinta e compatta adesione all’integra fede pasquale, assume una forte rilevanza sul piano della comunicazione e, quindi, dell’evangelizzazione. I non credenti e i seguaci di altre religioni, nella disparità della celebrazione della Pasqua, sono facilmente indotti a notare segni di dubbio e incertezza storica e, quindi, una debolezza dell’annuncio e, inoltre, possono riscontrare lo stato di disunione, se non di conflittualità, tra cristiani. È per questo, pensiamo, che papa Francesco abbia tirato fuori la questione in un momento in cui nessuno ci pensava ed è per lo stesso motivo che nel movimento ecumenico moderno il problema è stato affrontato a livello di dialogo interconfessionale.

Un documento importante è “Verso una data comune per la Pasqua – Dichiarazione di Aleppo”, frutto di una consultazione svolta nel marzo 1997 promossa dal Consiglio ecumenico delle Chiese e dalle Chiese del Medio Oriente, presenti anche rappresentanti del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, del Patriarcato ecumenico, della Chiesa anglicana e degli Avventisti del settimo giorno. Questo rapporto non è conclusivo, ma propone una consultazione allargata il più possibile che si sarebbe dovuta svolgere nel 2001. Intanto nell’ottobre 1998 è stata data una risposta alla dichiarazione di Aleppo da parte della Consulta teologica ortodossa-cattolica in cui si riafferma l’importanza pastorale di giungere ad una data condivisa e si afferma tra l’altro: “Celebrando la Pasqua in domeniche diverse dell’anno, le Chiese danno una testimonianza divisa a questo mistero, compromettendo la loro credibilità e la loro efficacia nel portare il Vangelo al mondo” (Enchiridion Oecumenicum vol.8, Edb, n. 3123).

Il criterio dell’accordo possibile secondo le indicazioni “scaturite dal dialogo sono molto semplici: riaffermare le norme stabilite dal primo Concilio ecumenico di Nicea (325) secondo le quali la Pasqua deve cadere nella domenica che segue la prima luna di primavera e calcolare la data astronomica (equinozio di primavera e luna piena) con gli strumenti scientifici più accurati, basando il calcolo sul meridiano di Gerusalemme (cf Risposta comune alla Dichiarazione di Aleppo sulla data della Pasqua (Ench, Oec.vol.8, n 3122 ss).

Da parte delle Chiese cristiane non resta che mettere in atto con umiltà e disponibilità un progetto comune e ascoltare l’invito di san Paolo, come un grido che risuona più che mai urgente oggi, in un mondo globalizzato e mediatico: “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa” (1 Cor, 5,7-8).

Insieme.

Elio Bromuri

 

 

 

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